Giorno della Memoria, i messaggi della politica molisana

In occasione della Giornata della Memoria, istituita il 1º novembre 2005 durante la 42ª riunione plenaria dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per ricordare le vittime dell’Olocausto (il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa, impegnate nella offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz), le autorità molisane lanciano il loro messaggio per ricordare quei terribili avvenimenti e guardando al futuro.

Frattura.La memoria non solo come riflessione, ma anche e soprattutto come prospettiva. Spinta a un impegno umano, sociale e culturale che mai in nessuno di noi deve venire meno. La Shoah, con tutto il suo carico di orrore e disumanità, non è un fatto lontano da noi. Non lo è nemmeno a dispetto degli anni che passano e sembrano separarci dalla violenza subita da milioni di donne e uomini, giovani e non, bambini, persone, per mano di altri uomini, anche loro giovani e non. Ed è, invece, questo il punto sul quale anno dopo anno dobbiamo tutti, nel nostro piccolo, lavorare, impegnarci in prospettiva per non sottovalutare nulla che possa richiamare quella follia spietata e omicida che è stato l’Olocausto. La Shoah è stata un orrore di uomini su altri uomini, azioni replicabili: ecco il grande rischio, ecco il senso e il valore della Memoria. La Memoria è la difesa comune che ci vuole uniti, ancora oggi e sempre anche domani, per non accettare il ritorno di parole sbagliate come razza, per impedire ingiuste forme di ghettizzazione, per non lasciarci sopraffare dalla diffidenza che genera chiusure. Chiudere la porta non è un gesto che ci mette al riparo da nulla. La consapevolezza e la conoscenza sì. Consapevolezza e conoscenza ci liberano dalle estemporanee riabilitazioni che, come ha detto in questi giorni il Presidente Mattarella, non dovremmo praticare. Il male non è mai un male a metà, non ha mai una faccia positiva. Ricordare ci aiuta a non sbagliare e l’Olocausto è la più grande lezione per provare a non sbagliare più”.

Patriciello.Saper riconoscere gli orrori della storia è il primo passo per evitare che accadano di nuovo. Credo sia di fondamentale importanza, in un giorno come questo, ricordare la sorte toccata a milioni di persone, vittime innocenti di una follia criminale che ha rappresentato un’esperienza estrema, una discesa negli abissi dell’umanità, inconcepibile per chi ritiene la storia un progressivo cammino di evoluzione e civiltà. Ricordare significa essere consapevoli del rischio che si corre allorquando la solidarietà e il rispetto reciproco cedono il passo all’intolleranza e all’odio fine a se stesso. Auschwitz è arrivata anche perché migliaia di persone che sapevano si sono rifiutate di porsi il problema della loro responsabilità. Comprendere questi aspetti significa trovare gli elementi per costruire il nostro domani”. Così Aldo Patriciello, parlamentare europeo e membro del Gruppo Ppe, nella ricorrenza internazionale del Giorno della memoria.

Battista.Ventisette gennaio. Simbolo della fine di un incubo, di un genocidio e di una vergogna senza pari. Ventisette gennaio come inno alla libertà, come giorno in cui si celebra l’apertura dei cancelli di Auschwitz, ma anche come quello della verità in cui l’orrore che si teneva nascosto, con la stessa forza con cui si dava la caccia agli ebrei, non è stato più un segreto per nessuno. Giorno della memoria per non dimenticare e soprattutto per riflettere sull’inaudita crudeltà usata per sterminare un popolo macchiando di sangue, in lungo e in largo, il vecchio continente rimasto silenzioso, quasi immobile, di fronte all’aberrazione delle leggi razziali e all’ottuso fanatismo legato alla razza pura. Ingranaggi rotti in menti perverse che hanno messo in moto l’orripilante macchina della ‘soluzione finale degli ebrei’. Una furia assassina contro chi professava una religione diversa, contro chi era cresciuto respirando una cultura diversa. Una razza che faceva paura, considerata responsabile finanche delle lunghe e ripetute crisi economiche che avevano afflitto la Germania e che quindi bisognava cancellare. Fucili puntati contro il popolo ‘eletto’ diventato, agli occhi dei nazisti, colpevole di ogni male. Uomini, donne, bambini e anziani, arrestati e poi infilati come bestie in treni diretti nei lager dove non avevano scampo zingari, omosessuali, avversari politici, diversamente abili, sacerdoti e testimoni di Geova. Lì, in quelle baracche della morte, dove ogni regola di civiltà veniva ribaltata furono uccise circa dieci milioni di persone. Una barbarie. Uno sterminio ideato e attuato nel centro del vecchio continente, nel cuore di quell’Europa, per così dire moderna, dove tolleranza e libertà politica erano però solo una fievole apparenza. Sono passati 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziali che hanno sparso dolore e morte e anche se c’è ancora chi continua a negare quanto accaduto, per fortuna abbiamo ancora oggi la possibilità di ascoltare, dalla viva voce dei sopravvissuti, quegli anni così bui. Voci che sono storia, e accorato appello affinché l’olocausto non si ripeta più. Ma quelle fotografie, quei frammenti di video arrivati fino a noi, il dramma che traspare dai capolavori della letteratura e persino i racconti di chi è scampato sembrano cadere nel vuoto di fronte alla prepotente rinascita di rigurgiti xenofobi che serpeggiano in Europa e dilagano in America. Ancora oggi, nel 2018. Certo la Shoah non è paragonabile ai venti di insofferenza e di fanatismo che vorrebbero spazzare via gli immigrati, chi chiede asilo politico, chi fugge da guerre e dittature, chi vuole semplicemente vivere, ma è comunque un fenomeno allarmante, perché prima sottotraccia e oggi alla luce del sole, quel sentimento di insofferenza verso l’altro è diventato un pericoloso leitmotiv, addirittura un cavallo di battaglia da usare in campagna elettorale per alimentare timidi focolai di razzismo e rafforzare quelli che già ardono da tempo. Una libera propaganda o meglio una propaganda libera che non tiene conto dell’umana solidarietà, né di diritti né di obblighi, né di quel senso di civiltà che dovrebbe prevalere anche sugli atteggiamenti di faticosa sopportazione che andrebbero smorzati per evitare che il clima poco solidaristico possa esplodere in politiche ed azioni che nulla hanno a che vedere con la maturità sociale di cui questo continente – a cui apparteniamo ma che dobbiamo sentire nostro – ha bisogno di rinsaldare. Abbiamo bisogno di esempi, e anche di speranza, quella speranza che ritrovo nel gesto, forte, del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha nominato senatrice a vita, la prima del suo mandato, Liliana Segre, sopravvissuta ai lager. Un grande messaggio che ha anticipato il Giorno della Memoria, giorno per ripartire dalla solidarietà e per non dimenticare che l’intolleranza è l’anticamera di una strada senza uscita.

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