L’AVVOCATO RISPONDE. La colpa medica

Gentili Lettori, Molise Tabloid porta avanti la rubrica ‘L’avvocato risponde’, dedicata all’approfondimento degli aspetti legali di particolari questioni e argomenti che, vi ricordiamo, potete segnalarci anche voi attraverso una mail all’indirizzio molisetabloid@gmail.com. A rispondere alle domande ci penserà lo studio legale Verde di Campobasso (in foto gli avvocati Mariaelena e Alessio Verde), che dopo aver trattato temi come cyberbullismo, guida in stato di ebbrezza, maltrattamenti in famiglia, omicidio stradale, diritto all’oblio, darà stavolta delle importanti delucidazioni su un aspetto che ha subìto di recente un importante intervento da parte del legislatore, la colpa medica, quindi la responsabilità del medico e della struttura sanitaria anche alla luce delle modifiche introdotte dalla riforma Gelli.

“Il tema in esame è molto attuale e legato a una novità legislativa che ha fin da subito ingenerato dubbi ed incertezze interpretative nella dottrina.
La nuova disciplina sulla responsabilità sanitaria è infatti recentissima: è datata 08.03.2017 ed entrata in vigore il successivo 1° aprile. Infatti, a soli quattro anni e mezzo dalla legge cd Balduzzi, il legislatore ha ritenuto di dover rimettere nuovamente mano all’assetto della responsabilità medica.
La legge che ne è scaturita è perfettibile, ma finalmente riesce a fornire una infrastruttura di base al tema in questione: vi è una parte riguardante gli aspetti organizzativi, sanitari, il cd risk management, il tema della prevenzione, le garanzie nei confronti dei cittadini ecc. e vi è poi una parte che riguarda le responsabilità civili e penali, l’azione di rivalsa, la conciliazione obbligatoria ecc., ossia dei temi che riflettono il dibattito delle varie scuole di pensiero che c’è tutt’ora nel nostro Paese.
INTERPRETAZIONE
A seguito dell’entrata in vigore della su citata legge, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza del 7 giugno 2017, n. 28187, ha dettato alcune linee interpretative in merito alla nuova fattispecie di cui all’art. 590-sexies c.p., con riferimento alla responsabilità colposa del medico che pure abbia osservato le linee guida accreditate. All’interno della Quarta Sezione penale della Corte di Cassazione è però sorto un contrasto con riferimento ai profili intertemporali di applicazione della legge. A fronte di quanto accaduto, il Presidente della Corte ha investito le Sezioni Unite al fine di dirimere la seguente questione giuridica, ovverosia: «quale sia, in tema di responsabilità colposa dell’esercente la professione sanitaria per morte o lesioni personali, l’ambito di esclusione della punibilità previsto dall’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dall’art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24».
All’esito dell’udienza tenutasi il 21 dicembre 2017 (di cui il 23 febbraio 2018 sono state depositate le motivazioni della sentenza), le Sezioni Unite hanno formulato, pertanto, il principio di diritto che d’ora in poi costituirà il criterio d’orientamento in materia.
In sostanza, il principio di diritto testè formulato dalle Sezioni Unite è:
«L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica:
a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;
b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
c) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto;
d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni, di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico».
A tale definitivo assetto interpretativo si è giunti, però, soltanto dopo mesi di incessanti ed accalorati dibattiti sul tema. Prima delle recenti modifiche legislative, infatti, la giurisprudenza limitava la responsabilità penale del medico, con riferimento ai delitti di omicidio e lesioni colpose, alle sole ipotesi di colpa grave, in conformità a quanto previsto dall’art. 2236 c.c., riguardo le prestazioni professionali comportanti la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà.
Il limite veniva riferito alla sola imperizia, ovvero quella derivante dalla violazione delle cd leges artis, mentre rispetto alla negligenza ed alla imprudenza si riteneva che la valutazione dell’attività del medico dovesse essere improntata a criteri di normale severità (Cass. pen., Sez. IV, 27 gennaio 1984, n. 6650; Cass. pen., Sez. II, 23 agosto 1994, n. 11695).
Altro orientamento, però, aveva messo in discussione il principio sopra riportato, affermando la generale inapplicabilità dell’art. 2236 c.c. al diritto penale, nel quale deve trovare accoglimento l’ordinario criterio di valutazione della colpa di cui all’art. 43 c.p. secondo il consueto parametro dell’homo eiusdem professionis et condicionis, eventualmente arricchito dalle maggiori conoscenze del medico (Cass. pen., Sez. IV, 2 giugno 1987, n. 11733; Cass. pen., Sez. IV, 28 aprile 1984, n. 11007).
La tematica della distinzione tra colpa lieve e colpa grave del medico era stata oggetto di nuove interpretazioni a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 3, comma 1, D.L. 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, laddove si stabiliva che l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attenesse alle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non rispondesse penalmente per colpa lieve.
Il tema della responsabilità medica per omicidio e lesioni colpose è stato poi oggetto del su richiamato ulteriore e recente intervento normativo, ad opera della su richiamata”Gelli”(o anche detta Gelli-Bianco in relazione ai due relatori del parlamento), L. 8 marzo 2017, n. 24, recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, la quale aveva introdotto il nuovo art. 590-sexies c.p. ed abrogato la normativa sopra richiamata.
L’art. 590-sexies c.p., dispone sostanzialmente che qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida, così come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
Affinché la responsabilità sia esclusa, quindi, occorre che le linee guida siano appropriate rispetto al caso concreto, ovvero che non vi siano ragioni che suggeriscano di discostarsene radicalmente e che le raccomandazioni generali siano pertinenti alla fattispecie concreta, ovvero che siano attualizzate in forme concrete nello sviluppo della relazione terapeutica, avuto riguardo alle contingenze del caso concreto.
Per completezza, occorre aggiungere che il catalogo delle linee guida non può esaurire del tutto i parametri di valutazione, essendo naturale che il medico possa invocare, in qualche caso, anche raccomandazioni, approdi scientifici che, sebbene non formalizzati nei modi previsti dalla legge, risultino di elevata qualificazione nella comunità scientifica.
PUNTO DI VISTA CIVILISTICO
Dal punto di vista civilistico si è cercato sostanzialmente di deflazionare l’enorme contenzioso civile (mentre quello penale era già fortemente ridimensionato già dal 2002 con la sentenza delle S.U. Franzese riguardante il nesso causale accertato oltre ogni ragionevole dubbio).
Si è recepita la copiosa giurisprudenza in materia di responsabilità sanitaria e si è stabilita così per legge la responsabilità delle strutture sanitarie pubbliche e private dal punto di vista contrattuale, cosa già “sdoganata” dalla giurisprudenza.
Gli aspetti processuali risentono, però, della natura compromissoria di questa legge, che doveva rispondere a interessi forti e contrastanti tra loro, come per es. quello della tutela della salute, del danno che ne deriva in casi specifici, ma anche della tutela della spesa pubblica (il sistema-risarcimenti mette a repentaglio non solo il sistema giudiziario civile, inondato dalle richieste di risarcimento, ma anche la serenità nel quotidiano di tutti gli operatori sanitari), per non parlare della tutela dell’attività del medico, al fine di evitare il ricorso smodato alla cd medicina difensiva di medici portati ad eseguire pedissequamente pratiche e protocolli per evitare spiacevoli conseguenze derivanti dal loro operato.
Nel contenzioso civile, dunque, si è ricorsi a questa condizione di procedibilità per poter accedere alla tutela giudiziaria vera e propria, ossia il ricorso tecnico preventivo a fini conciliativi che si svolge dinanzi a un giudice, ma dove non c’è un vero e proprio soccombente. Il danneggiato tramite ricorso sceglie chi chiamare in causa, agendo contro il professionista e l’azienda sanitaria oppure nei confronti di entrambi o può agire direttamente contro la compagnia assicurativa dell’uno o dell’altro (in questo caso il legislatore ha inserito un’ipotesi di litisconsorzio necessario fra il convenuto e la sua assicurazione).
L’onere probatorio è, come si è detto, molto più rigoroso se il danneggiato vuole citare il medico. Nella pratica in questi casi, all’interno dell’accertamento tecnico preventivo, il giudice farà una consulenza tecnica d’ufficio, nominando un collegio di periti al quale darà il quesito di ricostruire l’anamnesi e la storia clinica del paziente, capire qual era la patologia di cui era affetto l’attore, quale è stata la cura, l’intervento che il medico ha eseguito, se questo era conforme o meno alle regole dell’arte medica, ai protocolli, alle linee guida ecc. e in caso negativo, di quantificare il danno. Sia se si cita il medico che la struttura, il mezzo istruttorio è il medesimo, ossia la consulenza medica (a volte, come nel diritto penale, la conciliazione preventiva non è necessaria perchè magari sarebbe une un inutile dispendio di denaro). Per quanto riguarda i medici ospedalieri, salvo l’ipotesi di contratto specificatamente sottoscritto tra il paziente ed il Sanitario, tutti i medici rispondono oggi secondo uno schema di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.
Va detto, in definitiva, come il cambiamento della normativa attenga sostanzialmente all’onere probatorio: laddove il danneggiato possa invocare una responsabilità contrattuale, ha sostanzialmente un onere di allegazione, al fine di dimostrare che il contratto vi fosse e di aver ricevuto delle prestazioni sanitarie in base ad esso. Inoltre, deve mostrare quale sia stato il danno, ossia il peggioramento del suo status o quantomeno il discostarsi dei risultati rispetto a quelli che sarebbero dovuti essere in condizioni normali e per cui gli spetterebbe un virtuale risarcimento. Il medico, dal suo canto, vincolato contrattualmente con il paziente o con la struttura, si difenderà dicendo che il danno non è in nesso causale con l’evento, avendo svolto corrrettamente la prestazione sanitaria o dimostrando che quel danno era imprevedibile ed inevitabile.
Per quanto riguarda, invece, la responsabilità extracontrattuale, va dimostrato oltre a quanto detto, anche la colpa del Sanitario. Quindi l’onere probatorio è più gravoso.
Nella pratica, le controversie di questo tipo si risolvono con una CTU medico legale, che nella stragrande maggioranza dei casi, accerti quali sia stata la condotta dei Sanitari. In realtà, quindi, ben può dirsi che le variazioni sostanziali della materia sono state assai poche.
PUNTO DI VISTA PENALISTICO
L’art. 6 della richiamata legge Gelli- Bianco ha, come detto, introdotto nel codice penale il nuovo art. 590 sexies, contemporaneamente, abrogando l’art. 3 della vecchia legge (art. 3, comma I, D.L. 13.09.2012, n. 158, convertito in L. 08.11.2012, n. 189). L’articolo in questione stabilisce che se i fatti di cui agli artt. 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste, salvo quanto disposto dal II comma. Qualora l’evento poi si sia verificato a causa di IMPERIZIA, la punibilità va esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida, o in mancanza di queste, le BUONE PRATICHE clinico- assistenziali accreditate dalla comunità scientifica, sempre che le raccomandazioni delle cosiddette linee guida risultino ADEGUATE alle specificità del caso concreto.
Da subito, come detto in precedenza, la poca chiarezza della legge aveva fatto diventare ardua la interpretazione di disposizioni che, a primo acchito, sembravano migliorative tout court per gli operatori sanitari, ma che poi si sono rivelate tutt’altro che univoche.
Uno degli obiettivi della riforma è, comunque, l’aver voluto rendere l’illecito colposo ancora più specifico e tassativo. Da ciò è derivato un massiccio ricorso all’anomalo strumento delle su citate linee guida (che prima erano da ricavare dal caso concreto, mentre adesso preesistono e sono astratte rispetto al caso concreto).
Al fine di valutare la bontà di questa riforma, quindi, va compreso quindi se la legge Gelli-Bianco ha effettivamente ristretto il perimetro della punibilità in caso di eventi avversi in ambito sanitario e se si è riusciti a conferire un maggior grado di tassatività all’accertamento della colpa in ambito sanitario.
Il nucleo della riforma Gelli- Bianco si basa sul punto fondamentale che l’osservanza delle linee guida è una pratica tendenzialmente obbligatoria. Il richiamato articolo recita infatti: “salve le specificita’ del caso concreto (ci si deve attenere) alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3” che prevede una serie di procedure per accreditare le linee guida e far sì che siano applicabili ai fini dell’art. 590 sexies.
Rispetto alla precedente normativa, è evidente come l’art. 6 sciolga il vecchio binomio fra l’osservanza delle linee giuda e il diverso GRADO della COLPA, di cui non vi è nessun riferimento nella nuova normativa.
Già in merito a ciò, la nota sentenza cd CANTORE (Cass. Sez. IV, 29.01.2013) aveva chiarito molti problemi sorti nella casistica giurisprudenziale di riferimento. Tale sentenza aveva, infatti, evidenziato due casistiche generali cui era possibile applicare la norma, ossia per es. il caso del Sanitario il quale operava una diagnosi corretta e, nell’adeguare le linee guida ad uno specifico paziente, commetteva un errore, ossia una sorta di “adempimento imperfetto”, per cui la verifica verteva sulla lievità o gravità di quello specifico errore (se esso era lieve, si era nell’ambito della non punibilità, se era grave, si era in quello della responsabilità penale); nel secondo caso, invece, il Sanitario si trovava in presenza di una linea guida precisa, ma il paziente mostrava un’altra patologia e delle esigenze particolari. In quest’ipotesi, il medico si discostava dalla linea guida che non doveva essere applicata proprio in relazione a quel particolare e singolo paziente. Il medico che non seguiva la terapia ideale così come indicata nelle linee guida, compiva una sorta di adempimento “inopportuno”, che non era sempre valido in ogni caso, ma che era utile per risolvere la peculiare problematica del paziente. Anche in questo caso, in passato, era d’obbligo un approfondimento sul grado della colpa e da questo derivava la punibilità o meno del Sanitario.
Ebbene, la NUOVA normativa afferma che non è punibile il medico che segue le linee guida, sempre che esse siano adeguate alle specificità del caso concreto.
Infine, vale la pena ricordare gli artt. 15 e 16 della normativa in esame, i quali hanno una rilevanza processuale marcata perchè riguardanti la nomina dei CTU e dei PERITI.
Come è noto, il Giudice nei giudizi per responsabilità sanitaria deve oggi nominare un cd “collegio peritale” ossia oltre al CTU, deve designare uno o più specialisti a cui affidarsi, di cui uno deve essere per forza un MEDICO LEGALE, mentre l’altro un ESPERTO della esatta branca della medicina interessata in quel procedimento (ad esempio, un oncologo, un ortopedico ecc.).
Il grande cambiamento apportato in materia dal seguente art. 16 risiede, poi, nel fatto che tutta la documentazione inerente al RISK MANAGEMENT (ossia una sorta di “inchiesta interna” dell’ospedale) che prima si poteva acquisire nel processo penale, adesso non è più acquisibile, nè può essere utilizzata nei processi civili o penali. Ad oggi, in definitiva, quelle che sono le cd “ammissioni interne” rilasciate da parte dei Sanitari nell’immediatezza dei fatti non potranno più essere utilizzate processualmente. (Si tratta, in particolare, delle “attività di gestione del rischio”, provenienti dalla prassi statunitense, le quali stanno pian piano affermandosi anche in Italia e che consistono nello studio dell’incidente o del rischio e nel cercare di prevenirlo.
CONCLUSIONI
La riforma in esame è sicuramente un intervento organico ed è una riforma che va attuata e monitorata nei suoi sviluppi successivi. A seguito dell’intervento delle S.U. della Cassazione, come si è detto, tale periodo di incertezza interpretativa è stato superato, rimanendo pur sempre quello italiano un clima di sfiducia mediatica verso la Sanità, ove la denuncia è estremamente facile per la cd malpractice che viene spesso sbattuta aprioristicamente in prima pagina senza che venga ancora accertata la responsabilità del Sanitario.
Grazie a questa nuova sistemazione legislativa, è auspicabile, dunque, un superamento del massiccio ricorso alla medicina difensiva, nonchè degli irrigidimenti da parte degli operatori sanitari continuamente chiamati a rispondere del loro operato (con l’altrettanto conseguenziale lievitare delle coperture assicurative), a cui corrisponde un atteggiamento di alcuni utenti per i quali, suol dirsi, “si è passati dal diritto a essere curati alla pretesa di essere guariti”.”

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