Coronavirus, la vita di un anziano non è meno preziosa di un giovane. E rappresenta una risorsa per il Paese

di Sergio Menicucci (giornalista professionista)
Nel flusso di parole e dichiarazioni al tempo della pandemia da coronavirus sono finiti travolti gli anziani e il triage, ossia la scelta chi curare e chi no. Si decide per età e per condizioni di salute. Come in guerra, dicono i manuali medici, anche se molti lo ignoravano.
Gli anziani da categoria benemerita che aiuta i figli, sorregge i nipoti e tiene in piedi il Pil nazionale per alcuni stavano diventando untori del male oscuro.
Nei vari bollettini sul bilancio giornaliero delle vittime (1.809 in Italia in poco più di un mese e mezzo, oltre 5 mila nel mondo) il ritornello era uno per giustificare l’alto numero di malati che poneva l’Italia al secondo posto dopo la Cina: le vittime erano anziani, anzi vecchi e magari con altre patologie.
Come a dire: dobbiamo fare i conti con l’arrivo del virus, con i contagiati e se c’è qualcuno che muore tenete presente che la campana è suonata, in maggioranza, per gli anziani.
Un cinismo di una società incivile ed egoista che pensa solo all’oggi, a se stessa, affossando il principio d’appartenenza che si trasmette di generazione in generazione.
Qualcuno ha richiamato l’esempio dell’eroe Enea che riesce a fuggire da Troia in fiamme portandosi dietro il figlio Ascanio e sulle spalle il vecchio padre Anchise.
Tra gli errori commessi dai media nel raccontare le tante vicende del coronavirus c’è quello di aver fatto da megafono alla tesi che la morte di un anziano è meno grave di quella di un giovane.
L’errore dei governanti è stato quello di aver fatto conoscere la progressione dei contagiati distinguendo tra anziani e non. Imperdonabile quell’alzata di spalle, quella sottolineatura negativa che tanto a morire di contagio erano i vecchi. I giovani comunque non sono stati immuni: un quinto dei positivi è stato under 50.
Non va dimenticato che l’Italia è il paese con il più alto tasso di over 65 (media 35% contro il 30% in Europa). L’aspettativa di vita più lunga (81 anni gli uomini, 85 le donne) significa anche che, se in salute, gli anziani rappresentano un segmento di consumatori affidabile per le imprese, con una ricchezza reale e una solidità finanziaria elevate, in possesso di un’abitazione di proprietà e uno status di buoni pagatori di tasse.
Gli over 65 dai 14 milioni circa del 2018 saliranno ad oltre 20 milioni nel 2045, per cui cambia l’economia a misura d’anziano. Il contributo che hanno dato e continuano a dare al paese è un bene prezioso. Non un peso. E in tempo di tutti a casa saranno i figli e i nipoti ad occuparsi dei nonni e delle nonne.
A ringraziare gli anziani ci ha pensato l’editorialista del Corriere della sera Ferruccio de Bortoli che ha chiuso l’editoriale “con l’epidemia le persone in età avanzata sono quelle che rischiano di più. E che possono essere più penalizzati dal cosiddetto distanziamento sociale”. Anzi “l’umanità e la civiltà di un popolo si misurano da attenzione e rispetto per la terza e la quarta età”.

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