Il ruolo della nonnina ignara “tesoriera” dei soldi e della roba dei clan, i boss la usavano come deposito. Bocche cucite ai primi interrogatori

I proventi dello spaccio della cocaina conservati in una borsa affidata alla nonna di uno degli indagati. L’anziana e ignara tesoriera talvolta faceva da custode per i clan operanti fra Campobasso e Bojano, pensando di essere utile ad una causa a lei sconosciuta. Doveva fare la “guardia” ai contanti. Probabilmente non le interessava curiosare all’interno. Le parole del nipote o della nipote erano sufficienti per fidarsi. Il compito d’altronde era semplice. E pare che non mancasse mai un “regalino” per il disturbo. Ma forse non era consapevole che in quella borsa si nascondeva il lucro di un disagio, il mercato di uno sballo che si trasforma in dipendenza che consuma giorno dopo giorno l’organismo di un uomo o di una donna. Magari c’erano solo i soldi ma vista tanta disponibilità da parte di una persona peraltro insospettabile non è escluso che in un taschino sia finita qualche dose pronta all’uso per piccole vendite sul posto. I clan poi finiti nella rete di Carabinieri e Finanza hanno usato anche lei per cercare di tenere lontani i sospetti degli inquirenti.

Primi interrogatori: gli indagati fanno scena muta.
Come era prevedibile e in genere costituisce una prassi difensiva in inchieste come questa, con carteggi molto cospicui, i primi indagati interrogati nella giornata di oggi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Gli interrogatori del gip Teresina Pepe si sono svolti in videoconferenza, in linea con le misure anticontagio dal Covid-19, in collegamento con alcuni dei soggetti sottoposti a misura cautelare in carcere, che sono così distribuiti: gli uomini fra le case circondariali di Campobasso, Larino, Isernia e Avellino, le donne nel carcere di Benevento. Nel primo caso gli arrestati per la maggior parte sarebbero dovuti essere condotti nell’istituto del capoluogo, ossia quello prossimo al luogo dell’arresto, ma sempre per l’emergenza coronavirus che impone di evitare gli assembramenti sono state individuate le case circondariali vicine, ossia Isernia e Larino. Nel secondo caso invece, come è noto, non esiste un carcere femminile in Molise. Le sezioni “rosa” più vicine sono quelle di Benevento e Chieti. Ovviamente è stata data priorità ai soggetti con la misura cautelare più grave, poi toccherà alle persone ai domiciliari e con limitazioni della libertà meno afflittive. Fra domani e lunedì gli interrogatori proseguiranno. Alcuni avvocati difensori hanno già annunciato di presentare istanze di scarcerazione o di ricorrere al Riesame la prossima settimana, per far ottenere ai propri assistiti quantomeno il loro trasferimento ai domiciliari.

Persone senza scrupoli e la tentazione dei soldi facili.
Quello della nonnina coivolta è solo uno degli episodi di persone che pur di raggiungere lo scopo non guardavano in faccia a nessuno. Le minacce, gli schiaffi contro gli acquirenti, metodi addebitabili ad almeno due delle organizzazioni smantellate nell’operazione “Piazza Pulita”, potevano diventare una prassi laddove qualcuno si “dimenticava” di pagare o tardava a farlo. La forza dell’organizzazione corrispondeva anche alla percezione di essere un punto di riferimento per la piazza locale e di essersi guadagnati il rispetto degli acquirenti e dei “colleghi” dell’attività nello spaccio, ma anche di credere di essere parte di qualcosa di importante. E questa percezione probabilmente riguardava soprattutto quei giovani, uomini e donne, incensurati – manodopera sfruttata dai reggenti dei sodalizi, pregiudicati, perché più lontani dalla lente delle forze dell’ordine – che vedevano nell’attività di spaccio un modo per fare soldi facili in un contesto che non offre grandi possibilità di guadagno. La cocaina, la “droga dei ricchi”, venduta a 40 euro per mezza dose, poteva essere un valido strumento per campare e farsi passare più di qualche sfizio prima di invecchiare e magari assicurarsi un futuro migliore. Ragazze belle come il sole che sembra abbiano scelto la trasgressione come stile di vita, incisa sui loro corpi pieni di tatuaggi e talvolta spiattellata sui social, forse convinte di ricevere maggiore considerazione e rispetto a scapito di tutte le loro insicurezze. Uno dei giovani incensurati pare fosse attivo sulla piazza già da qualche anno ma era riuscito a sottrarsi all’attenzione degli inquirenti grazie ai suoi modi molto discreti. Ben conosciuto nell’ambito della movida notturna di Campobasso, nel 2009 si era persino candidato nella lista di Forza Italia che appoggiava Gino Di Bartolomeo (poi eletto sindaco), prima che la sua vita probabilmente prendesse un’altra direzione. La storia di questi ragazzi corre di pari passo con coloro che hanno incarnato storie già sentite mille volte. Persone cadute nel tunnel della droga che a corto di soldi si prestano ai clan per fare da corrieri nelle piazze di rifornimento del Napoletano pur di guadagnare la loro dose quotidiana di coca o di eroina, rimanendo incastrati in un meccanismo da cui da soli è difficile uscire e molto spesso arriva il momento in cui ci si trova, senza neanche accorgersene, davanti a un bivio: la comunità di recupero o il carcere.

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