Errori e lungaggini dietro la tragedia del giovane morto a Ferrazzano, il parere tecnico del presidente della Camera Penale, Prencipe

Ha fatto molto scalpore e ha segnato la comunità molisana la tragedia del giovane campobassano morto martedì nel territorio di Ferrazzano dopo un gesto estremo. Un dramma molto probabilmente legato ad una vicenda giudiziaria che lo vedeva coinvolto e che ha ovviamente acceso il dibattito sulle motivazioni che potrebbero aver spinto un ragazzo di soli 22 anni ad una simile decisione, in quanto la detta vicenda era stata precedentemente oggetto di cronaca dei media. Sui social, luogo virtuale ormai deputato a gran parte dei confronti e commenti che una volta si facevano in strada e nei luoghi sociali “fisici”, molte persone si sono limitate ad esprimere il loro dolore e le loro condoglianze, altre hanno espresso la loro solidarietà ad un ragazzo marchiato da un’accusa molto pesante in merito alla quale la giustizia avrebbe dovuto fare il suo corso. Un iter interrotto dalla tragedia. Il ragazzo, che aveva sempre respinto quelle accuse, potrebbe non aver retto all’ultimo step giudiziario, dopo che il giudice chiamato a pronunciarsi in sede di indagini non ha accolto la richiesta di archiviazione da parte della pubblica accusa, aprendo di fatto la strada del processo. Su tutto quello che è successo sarebbe forse opportuno riflettere e capire se al di fuori dei protagonisti possano esserci delle responsabilità. A partire proprio dai media. Na abbiamo parlato con l’avvocato Mariano Prencipe, presidente della Camera Penale del Molise.
Presidente, quali responsabilità ha la stampa nel trattare simili fatti di cronaca e vicende giudiziarie, relativamente alle possibili conseguenze che possono comportare? Ci sono delle colpe in questo tragico epilogo?
Escludo l’esistenza di responsabilità penali e, sinceramente, stento a rinvenire responsabilità di natura civile. Credo invece che possano esserci profili disciplinari. Il ruolo della stampa ha un’importanza fondamentale nella formazione culturale e nella creazione e sviluppo della coscienza della società civile. Lo dico con profonda amarezza ma credo che, nell’ultimo trentennio, certa stampa ha rinunciato a questo suo ruolo, privilegiando invece i cosiddetti “scoop giudiziari” che si risolvono pero’ in attività di “passacarte”. E’ un’attività che trova molto riscontro nel cittadino, in termini di vendite o di audience, ma spesso si traduce in una visione distorta e di parte della realtà. Nell’ambito giudiziario si è aperto da tempo un profondo dibattito sul rapporto tra stampa e giustizia e si è giunti a coniare il nuovo termine di “processo mediatico” caratterizzato dalla pubblicazione di intercettazioni telefoniche o da intere trasmissioni destinate, come se si fosse in un’aula di giustizia, a stabilire la colpevolezza o l’innocenza del cittadino ben prima che si svolga il processo. Dispiace dirlo ma questo sistema, in cui anche parte dell’avvocatura ha le sue responsabilità, non è un’evoluzione ma un deciso passo indietro della civiltà. E’ un surrogato tecnologico dell’antica gogna. Detto questo credo anche che il discorso non può essere affrontato a livello locale ma a livello nazionale con regole deontologiche più stringenti e precise per la stampa, la magistratura e l’avvocatura. Il paradosso è che si offre tantissimo spazio mediatico alla fase delle indagini preliminari e delle misure cautelari, che intervengono senza la partecipazione della difesa del cittadino e con la visione unilaterale dell’accusa, e pochissimo a quella del processo e ancor meno alla sentenza definitiva. Voglio rappresentare che secondo l’ultimo rapporto della Corte di Cassazione il 50% dei processi di primo grado si conclude con una sentenza di assoluzione e questo dato deve necessariamente far riflettere. Chiudo dicendo che una buona regola per il giornalista sarebbe quella di affrontare un caso giudiziario offrendo sempre pari spazio alle contrapposte visioni dei protagonisti e partendo sempre dal presupposto che, nella maggior parte dei casi, ci troviamo di fronte a presunti innocenti e presunte vittime.
Quali responsabilità ha la magistratura, anche relativamente alla fiducia che viene riservata da chi chiede giustizia? Perché due magistrati, in questo caso e dopo due anni, uno che ha condotto le indagini e l’altro che ne deve ‘giudicare’ il contenuto, arrivano ad avere posizioni così divergenti?
Nel caso di specie non vedo alcuna responsabilità della magistratura che anzi ha avuto un apprezzabile contegno non dando alcuna pubblicità ai fatti. Non trovo nulla di strano che due Magistrati, in una fase appunto preliminare, abbiano due visioni diverse dei fatti. Questo anzi è un elemento di assoluta garanzia per il cittadino (sia esso indagato o persona offesa) e proprio questo deve farci riflettere sulla necessità di porsi sempre dei dubbi e di non dare mai per scontata ed accertata l’una o l’altra tesi. E’ in questo che io vedo un atteggiamento degenerativo del sistema. Ci sono alcune Procure italiane che ormai, in una degenerazione autocelebrativa, quando chiudono inchieste o quando eseguono misure cautelari non si limitano alla classica “conferenza stampa” ma addirittura fanno la proiezione di filmati come se si trattasse di una fiction. In qualche caso si è accertato che questi filmati sono veri e propri film con un mix tra realtà e fantasia. Non è difficile comprendere che tali prassi, proprio perchè proveniente da organi dello Stato, accreditano nell’opinione pubblica l’idea di una colpevolezza certa, senza la celebrazione di un processo ed a fronte di alte probabilità di assoluzione.
Anche gli avvocati hanno delle precise responsabilità e possono correre dei rischi?
Se parliamo di responsabilità morali ed etiche sono moltissime, così come serie sono quelle disciplinari. Ripercorrendo quello che è recentemente accaduto il principio cardine è che l’avvocato, così come il giudice, il pubblico ministero o la polizia giudiziaria, non dovrebbero mai “cavalcare” un caso giudiziario per pubblicità o per vanità. Anche nei casi che riguardano personaggi pubblici, quindi con obiettivo rilievo per la stampa, l’avvocato dovrebbe intervenire ed esporsi solo se questo si risolve nell’interesse del suo assistito.

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