Le riaperture dividono i commercianti: buoni riscontri ma tanti ristoratori non hanno spazio per i tavoli all’aperto. Le interviste

E’ prematuro fare un bilancio delle riaperture al pubblico delle attività di ristorazione ma il terzo giorno sensazioni, primi riscontri e problemi sono già percepibili. La possibilità di tornare a consumare un cibo o una bevanda fuori casa, seduti ad un tavolino, magari in compagnia, per ora solo all’aperto, ha portato una piccola ventata di ottimismo sia agli avventori sia ai fornitori del servizio, pur con l’invito alla massima attenzione e in un momento in cui l’opinione pubblica resta divisa sull’opportunità o meno di riaprire bar e ristoranti, quando l’epidemia è ancora in corso e la campagna vaccinale deve ancora fare strada. Davanti ai locali si respira nuovamente la “zona gialla” e la nuova normalità a cui l’era Covid ci ha abituato – distanziamento, mascherina abbassata solo durante la consumazione, erogatori di gel per le mani piazzati qua e là, – ma non tutti i commercianti si ritengono soddisfatti. E il motivo principale riguarda lo spazio utilizzabile davanti al proprio locale: c’è chi ne dispone e chi no.

A Campobasso, Michele, gestore della braceria Cora d’ Zia, è uno di coloro che ha potuto far montare un gazebo in legno per ‘ospitare’ tavoli e sedie. “Sono soddisfatto ma la risposta della clientela è ancora contenuta, credo che ci sia molta paura in questo momento. Ecco perché bisogna accelerare con la campagna vaccinale“. Altro riscontro positivo arriva da Donato del ristorante E io pago.  “Abbiamo fatto un investimento per consentire la consumazione all’aperto. Certo, sia la paura sia il freddo e le condizioni meteo incideranno. I clienti in questi due giorni sono venuti. Anche con l’asporto abbiamo avuto un buon riscontro ma non neghiamo che è stata dura. Per fortuna siamo un’azienda a conduzione familiare e penso che lamentarsi ora sia peggio“.

Mentre per il Corso e in piazza Pepe molti baristi hanno potuto sfruttare, come tradizionalmente fanno, gli ampi spazi del centro cittadino, altri “colleghi” meno fortunati hanno dovuto rinunciare a tale opportunità. Perché sostanzialmente impossibilitati. Come è il caso di Simona della Pasticceria Italiana di via Garibaldi. “Purtroppo il marciapiede davanti al locale è molto stretto e siamo in prossimità di un incrocio. Ci era stata data l’opportunità di allestire i tavoli vicino all’edicola, dall’altra parte della strada, ma i rischi e i disagi sono così alti che preferiamo rinunciare e continuare con l’asporto“. E come è andata fino ad ora? “Diciamo che in questa città non c’è ancora la mentalità dell’asporto. Su alcune cose va meglio, su altre meno. Noi per fortuna siamo anche pasticceria. Tuttavia mentre prima, con l’ingresso nel locale una cosa compensava l’altra, ora difficilmente un cliente si ferma qui davanti per chiedere un caffè. Eppure noi abbiamo molto spazio all’interno per garantire tutto il distanziamento possibile“.

C’è infine chi, come Franco del Caffè Antico di via Garibaldi, ha subito una doppia beffa a causa degli eventi. Oltre a non avere lo spazio per allestire i tavoli – anche per lui, marciapiede stretto e incrocio vicino, – gran parte della sua clientela è costituita dagli impiegati degli uffici pubblici (in quella zona, come è noto, si trovano enti come Assessorato all’Agricoltura, Corte dei Conti, Ufficio Scolastico Regionale) che da mesi si trovano in smart working. Insomma, stando a un vecchio detto, qui tradotto in italiano, ‘sopra un alimento già cotto, si butta acqua bollente’. Franco è costretto a servire la clientela sulla porta d’ingresso e continuare con il servizio di asporto. “E’ una situazione imbarazzante, in quanto il decreto si presta a varie forme di interpretazione. Basta vedere quello che sta succedendo a Termoli. C’è chi resta aperto dopo le 18, chi no. Inoltre prima in fascia gialla era data opportunità al cliente, nel rispetto del distanziamento e con ingressi contingentati, di consumare al bancone. Perché ora no? Vorrei chiedere lumi ai nostri governanti che scrivono questi provvedimenti. Forse non è la parola adatta, ma mi sento un discriminato“.

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