di Giuseppe Zingarelli
L’espressione infiltrazione mafiosa, comunemente, si riferisce al tentativo delle organizzazioni criminali, come la mafia, di assumere il controllo di imprese ed enti pubblici per condizionarne le scelte. Questo processo può avvenire attraverso tecniche di corruzione, intimidazioni o di connivenza tra clan mafiosi e i rappresentanti delle istituzioni o di imprese. Infiltrandosi in modo strisciante e silente all’interno delle istituzioni dello Stato le organizzazioni mafiose acquisiscono non solo potere ma soprattutto il controllo della gestione degli appalti pubblici e delle attività economiche connesse, ottenendo in tal modo notevoli supporti finanziari per svilupparsi ed espandersi ulteriormente. Vi è anche un altro obiettivo che le mafie tendono a perseguire sul territorio: proteggere le loro attività illegali. Numerose sono state le inchieste giudiziarie che hanno accertato la oscura presenza di sodalizi criminali di stampo mafioso dediti ad attività illegali sul territorio italiano gestiscono un giro vorticoso di “affari supermiliardari” in4 molteplici settori: edilizia, commercio, sanità, lavori pubblici, finanza, agricoltura e turismo. L’ ambizione dei clan malavitosi non muta nel tempo: inserirsi nei circuiti dove il denaro pubblico scorre a fiumi. Pensiamo agli appalti relativi alle opere pubbliche o all’incalcolabile business della droga. Le regioni italiane più colpite dal fenomeno mafioso sono quattro: Sicilia, “Cosa Nostra”, Calabria, “Ndrangheta”, Campania, Camorra napoletana, e Puglia, Sacra Corona Unita. In quest’ultima regione, nell’ultimo decennio, lo scenario mafioso ha assunto connotazioni preoccupanti ed inquietanti. L’ “escalation” mafio-criminale della Puglia è stata da record, considerando che già quindici anni fa, alcuni uomini delle istituzioni, quali l’ex Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia di Bari, il dottor Antonio Laudati, l’ex Procuratore Distrettuale Antimafia di Lecce, il dottor Cataldo Motta e l’attuale Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vasto, nonchè ex Sostituto Procuratore Generale presso la Corte Suprema di Cassazione a Roma ed ex Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lucera (Foggia), il dottor Domenico Seccia, avevano in un certo senso preannunciato che le mafie pugliesi sarebbero riuscite ad imporsi ed a fare il salto di qualità.
Attuando la cosiddetta “metamorfosi imprenditoriale e finanziaria” che avrebbe permesso loro di accrescere le attività illecite sul territorio regionale, incrementare il volume di affari e di infiltrarsi sempre più nel sistema politico, di prassi, il corridoio naturale preferito dalle mafie per mettere occultamente le mani sul denaro pubblico. In Italia, quinto Paese al mondo per corruzione, poco, molto poco, è stato fatto per contrastare l’avanzata dell’Impero dell’illegalità, così taluni sociologi hanno definito la mafia. Tanto che oggi, essa, è rappresentata da una solida stratificazione sociale, denominata “borghesia mafiosa”, non identificandosi più in un solo leader. Alla mafia lo Stato ha concesso tutto il tempo per managerializzarsi e dotarsi di una struttura gerarchica organizzata che, come una perfetta holding finanziaria, è riuscita con strategia intelligenza e complicità ad entrare nel cuore dello Stato, infiltrabdosi con classe, fluidità, eleganza e scaltrezza nelle gestioni delle grandi opere pubbliche. In Puglia la mappa della geopolitica criminale individua tre zone in cui la presenza e il dinamismo delle attività mafiose è molto accentuato. Bari, Lecce e Foggia: la camorra barese, la Sacra Corona Unita in Salento e le mafie foggiane in Capitanata. Nel barese vi sono molteplici clan aventi struttura unitaria e verticistica che operano autonomamente con una distribuzioni di ruoli e mansioni al loro interno. In Salento vi è una “federazione” di gruppi criminali all’interno della quale pochi clan sono dominanti rispetto agli altri. Nella Daunia, invece, le mafie hanno una struttura più articolata rispetto a quelle baresi e salentine. Il territorio della Capitanata è più frazionato. A Foggia opera la “Quarta Mafia”, la cosiddetta società foggiana, il cui exploit, qualche anno fa, ha spodestato e oscurato la fama di sodalizi criminali ben più noti alle cronache malavitose nazionali. Certamente la “società foggiana” ha costruito le sue fortune anche con le complicità di una politica locale “discutibile”, che, sviluppatasi in mezzo al grano, ha saputo valorizzare molto suoli, cemento e pallone ma assai poco, invece, le mille altre risorse che avrebbero potuto offrire al capoluogo dauno un aspetto meno dimesso e molto più frizzante. Per avere l’idea della “Quarta Mafia” si deve pensare ad un pozzo senza luce all’interno del quale si gestiscono impensabili situazioni illecite ma tutti, però, hanno avuto timore ad illuminare il pozzo. Così nascono e si sviluppano la mafie: al buio. Più a nord si registra la presenza della mafia sanseverese, la cosiddetta mafia dell’Alto Tavoliere. A sud della “Città della Spiga”, invece, si muove con altrettanto efficace dinamismo la “mafia dell’Ofanto”, meglio conosciuta come la mafia cerignolana, la cosiddetta mafia del Basso Tavoliere. Un’ altra consorteria mafiosa presente nel vasto territorio dauno è la mafia del Gargano. Il Gargano rimane il tesoretto dei clan, visto ancora l’enorme potenziale sviluppo della zona, soprattutto riguardo all’aspetto religioso. Il Gargano, ormai, è da considerarsi come l’Aspromonte mentre anche Manfredonia è ritornata ad essere uno dei più grandi porti di accesso agli stupefacenti, grazie a quell’autostrada del mare che è il Canale d’Otranto. I carichi milionari di droga da Manfredonia proseguono per i mercati europei, frutto e specchio di una stategica alleanza tra la mafia garganica e la mafia dei Balcani. Nel 2022, infatti, in provincia di Foggia furono sequestrate dalla Forze dell’Ordine oltre 30 tonnellate di marijuana. Furono inoltre scoperti insospettabili traffici illegali collegati ad una economia ombra trasformata in forza dirompente da complicità, sottovalutazioni e tolleranze. Le quattro consorterie criminali del foggiano, la mafia sanseverese, la mafia cerignolana, la mafia garganica e la “Quarta Mafia” di Foggia, pur dotate di una struttura verticistica autonoma, all’occorrenza, hanno maturato l’insospettabile capacità di realizzare tra loro, in maniera sinergica, forme di strategica collaborazione quando interessi comuni impongono di perseguire maggiori profitti. A tal fine, gli altalenanti rapporti di conflittualità e le divergenze tra i quattro gruppi criminali, come d’incanto, cessano e le alleanze si ripristinano e si riconsolidano. Lo Stato ha sempre sottovalutato, e di parecchio, la forza delle quattro mafie foggiane. Se decidessero di allearsi tra loro, la loro forza sarebbe impressionante. Qualcuno, non errando, ha affermato che essa è pari alla forza di “Cosa Nostra”. Per tal ragione l’escalation delle quattro “Piovre daune” è in Italia quella più attenzionata dalla Direzione Investigativa Antimafia Nazionale. Nell’ultimo decennio la provincia di Foggia è stata al centro di indagini che hanno rivelato scenari mafiosi impensabili, complessi e frammentati, raggruppanti una pluralità di organizzazioni criminali capaci di evolvere ed affinare le loro attività criminose. Molte situazioni sono state sottovalutate dallo Stato. Le mafie foggiane si sono laureate a pieni voti all’ “Università del Crimine”, investendo gli enormi proventi finanziari accumulati in decenni di gestioni illegali. Un altro dato fa riflettere. La provincia di Foggia negli ultimi 30 anni conta qualcosa come 300 omicidi, l’80% dei quali impuniti. Strano che qualcuno non se ne sia accorto. È nella provincia di Foggia, uno dei territori nazionali maggiormente permeato dai tentacoli del malaffare, che la DIA, oggi, sta registrando un ulteriore incremento di attività illecite nei settori del traffico degli stupefacenti, delle armi, delle estorsioni e del riciclaggio di denaro sporco in attività commerciali, quali il commercio di autovetture, edilizia e onoranze funebri. Strano che molte indagini siano partite con un certo ritardo. Puntualmente la Capitanata si trova sempre agli ultimi posti nelle classifiche della qualità della vita. Ciò vale anche per la sicurezza, la giustizia, la lunghezza media dei processi e l’elevato tasso di disoccupazione giovanile. La crescita delle quattro organizzatissime “mafie” della Daunia si è concretizzato in una nuova onda dinamica che ha portato i loro lunghi tentacoli ad allungarsi anche in Basilicata, Molise, provincia di Campobasso e Isernia, Abruzzo, Marche e Emilia-Romagna, con ramificazioni anche in Lombardia. L’ Abruzzo con le sue terre incontaminate, i suoi borghi solitari, i suoi terreni sconfinati è una delle praterie abitualmente percorse dai sodalizi mafiosi garganici, pensiamo alla cosiddetta “mafia dei pascoli”, o la cosiddetta “mafia della transumanza”, dove le organizzazioni criminali acquisivano illegalmente, con vessazioni e minacce ai legittimi proprietari, gli appezzamenti di terra privati sui quali chiedevano ed ottenevano finanziamenti europei. I rituali delle mafie foggiane si ispirano sostanzialmente alle affiliazioni storiche di “Cosa Nostra, della “Ndrangheta” e della “Camorra napoletana”, da cui si originano e dalle quali hanno subito significative influenze. L’ egemonia delle consorterie mafiose foggiane ridisegna una nuova geopolitica con quattro ben delineate macroaree in ciascuna delle quali, guarda caso, si riscontra un nuovo aumento di altri reati, quali l’usura, il riciclaggio di denaro proveniente dal gioco illegale e il settore dei servizi abusivi di vigilanza e di guardiania. A ciò si aggiungono le attività di nuovi gruppi malavitosi che ambiscono a raggiungere una posizione di rilievo nella “hit parade” del crimine locale e che stanno già manifestando segnali di crescente pericolosità. Per essi ancora non è stata giudizialmente acclarata la connotazione mafiosa ma le autorità istituzionali preposte non nascondono, questa volta a ragione, si vede che la lezione è servita, le preoccupazioni che essi possano evolvere il già elevato coefficiente del malaffare trasformandosi presto in qualcosa di molto più temibile. La peculiarità di questi gruppi criminali, cosiddetti “minori”, si rapporta al settore dei furti, delle rapine, degli scippi e delle aggressioni. Tutti crimini in aumento nel foggiano. Le attività di indagine degli inquirenti hanno accertato, inoltre, un marcato aumento dei furti di autovetture. A Foggia, città la cui storia criminale dimostra il ruolo attivo della massoneria e del suo bagaglio di relazioni con un pezzo di politica, circa 60 morti ammazzati per mafia, si rubano sei, sette auto al giorno. I cittadini sono molto preoccupati. La presenza mafio-criminale in Capitanata è un grave ostacolo al fortissimo desiderio di riscatto dei cittadini di questa terra generosa, baciata dal sole, dal mare e dai monti, paesaggisticamente affascinante e ricchissima di risorse naturali. Lo Stato ha davvero molto da lavorare in provincia di Foggia. Non solo per attuare un’efficace azione di repressione e di contrasto al fenomeno mafioso, ma anche per porre freno al dilagare di svariate forme di illegalità che accentuano lo scoraggiamento e il senso di abbandono dei cittadini di questa provincia. Non da ultimo si è aggiunto anche il fenomeno dell’abbandono illecito di rifiuti nelle campagne e il dilagare delle truffe agli anziani, raggirati con sempre maggiore frequenza da abili delinquenti. Se da una parte è vero che per scardinare “piaghe” di tal portata non si può prescindere dalla necessaria collaborazione di tutti i cittadini, dall’altra è anche vero che lo Stato per scardinare insidiose forme di indifferenza e complicità deve fare molto di più di quello che sta facendo. Inutile negare l’evidenza. Se le mafie foggiane hanno assunto un certo controllo del territorio significa che in Capitanata lo Stato non ha affatto brillato. Le stategie sono vitali per vincere le guerre. Non c’è libertà ne democrazia senza legalità. Se lo Stato vuole vincere la partita contro le mafie deve adottare nuove strategie senza concedersi battute d’arresto.