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Home»1. Categorie news»Senza Categoria»L’AVVOCATO RISPONDE. Diritto all’oblio

L’AVVOCATO RISPONDE. Diritto all’oblio

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Di MoliseTabloid il 31 Ottobre 2017 Senza Categoria
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Gentili Lettori, Molise Tabloid porta avanti la rubrica ‘L’avvocato risponde’, dedicata all’approfondimento degli aspetti legali di particolari questioni e argomenti che, vi ricordiamo, potete segnalarci anche voi attraverso una mail all’indirizzio molisetabloid@gmail.com. A rispondere alle domande ci penserà lo studio legale Verde di Campobasso (in foto gli avvocati Mariaelena e Alessio Verde), che dopo aver trattato temi come cyberbullismo, guida in stato di ebbrezza, maltrattamenti in famiglia e omicidio stradale, darà stavolta delle importanti delucidazioni su un aspetto che riguarda in particolare l’attività giornalistica in rapporto al diritto di cronaca da un lato e, dall’altro, il diritto di colui o colei che è oggetto di cronaca a ottenere nel tempo la garanzia di non veder più pubblicato il suo nome, ossia il diritto all’oblio.

Per rispondere cosa sia il diritto all’oblio, bisogna porsi i seguenti interrogativi: quando una persona ha il diritto di chiedere la definitiva cancellazione di una notizia che lo riguarda, magari ritenuta diffamatoria, dagli archivi dei giornali e, vista l’epoca digitale in cui viviamo, dalle pagine web e dai relativi motori di ricerca?
Ed ancora, quando tale personale interesse si scontra con il diritto di cronaca e soprattutto con l’interesse pubblico a conoscere determinate informazioni?
Il diritto all’oblio, il quale rientra nella tutela dei diritti della personalità ex art. 2 Cost., viene definito dalla giurisprudenza come: “il legittimo interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore ed alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia, in passato legittimamente divulgata, salvo che eventi sopravvenuti rendano nuovamente attuali quei fatti, facendo sorgere un nuovo interesse pubblico alla divulgazione dell’informazione” (Cass., sez. V, 9 aprile 1998, n. 3679, FI, 1998, I, 1834; cfr. Trib. Roma 1° febbraio 2001, DInf, 2001, 206; Trib. Roma 20 novembre 1996, DInf, 1997, 335).
Il diritto all’oblio, però, ha assunto nuove connotazioni dopo l’avvento dell’era digitale.
Prima esso era unicamente “attinente alle ragioni e alle regioni del diritto alla riservatezza” (Ferri), quindi un diritto del soggetto a non veder pubblicate nuovamente notizie che lo menzionassero in ragione del lasso di tempo trascorso da quando erano state già pubblicate poichè di comune interesse pubblico.
Qual era ed è dunque il limite del diritto di cronaca?
Ebbene, quando un avvenimento non ha più utilità al fine della tutela dell’interesse pubblico, si ha diritto a far sì che la propria privacy venga tutelata e garantita dallo Stato: “l’utilità sociale della notizia deve in ogni caso andare di pari passo con l’attualità della medesima: la ripubblicazione quindi a distanza notevole di tempo di un fatto risalente, dotato all’epoca della prima divulgazione di rilevante interesse sociale, se è fatta senza alcuna giustificazione di cronaca o di esercizio del diritto di critica storica, costituisce lesione della reputazione di un individuo, non essendo configurabile un pubblico interesse alla conoscenza della stessa” (Alessandrini, 2014).
Dall’avvento di internet, però, le notizie non hanno più bisogno di una ri-pubblicazione, dato che esse permangono nel web nonostante seguano una loro evoluzione storica, quindi vanno quantomeno integrate o rimosse.
In tal senso, una importantissima affermazione del diritto all’oblio nel nostro ordinamento è avvenuta con la sentenza del 5 aprile 2012, n. 5525 della terza sezione civile della Corte di Cassazione che, ancorché pronunciata in materia di legge sulla privacy, si pone come importante punto di riferimento futuro anche in materia di diffamazione.
Il principio di diritto affermato è stato che l’editore di un quotidiano che memorizzi nel proprio archivio storico della rete internet le notizie di cronaca, mettendole così a disposizione di un numero potenzialmente illimitato di persone, è tenuto ad evitare che, attraverso la diffusione di fatti anche remoti, possa essere leso il diritto all’oblio delle persone che vi furono coinvolte. Pertanto, quando vengano diffuse sul web notizie di cronaca giudiziaria, concernenti provvedimenti limitativi della libertà personale, l’editore è tenuto garantire contestualmente agli utenti un’informazione aggiornata sullo sviluppo della vicenda, a nulla rilevando che essa possa essere reperita “aliunde”. (V. Pezzella – La diffamazione, Utet giuridica 2016).
Ad oggi il diritto all’oblio non conosce una specifica regolamentazione nel nostro ordinamento interno, a differenza dell’ordinamento europeo ove è oggetto di un regolamento entrato in vigore nel 2016 (Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali n. 2016/679), che consequenzialmente ha portato ad un adattamento interno degli Stati membri.
Dunque sembrerebbe non essere presente in Italia un vero e proprio diritto ad essere dimenticati.
Tuttavia, come già accennato, è andata proliferando già da anni la giurisprudenza di merito.
In particolare, il diritto all’oblio viene ricompreso nel diritto alla riservatezza, quale diritto a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino oramai dimenticate o ignote alla generalità dei cittadini e, di conseguenza, chiunque è legittimato a chiedere di poter rimuovere contenuti che possano ledere il proprio onore, la propria riservatezza o la propria reputazione in tali occasioni (ad esempio, da tempo oramai è possibile richiedere a Google la rimozione di contenuti indicizzati tramite un form da compilare direttamente sul web motivando la richiesta).
Il Garante della privacy, autorità amministrativa indipendente che assicura la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali e il rispetto della dignità nel trattamento dei dati personali stabilisce le prescrizioni fondamentali per la gestione dei reclami degli utenti del web avverso il diniego di deindicizzazione da parte dei motori di ricerca.
La Suprema Corte ha poi specificato come il nodo cruciale non sia l’inserimento dei dati ad essere fonte di eventuale risarcimento, poichè questo rientrerebbe nella giusta espressione del diritto di cronaca, bensì l’indebito nonchè ingiustificato mantenimento del dato all’interno del canale di informazione che è illegittimo perchè esorbitante gli scopi, quindi: “non già nel contenuto e nelle originarie modalità di pubblicazione e diffusione on line dell’articolo di cronaca e nemmeno nella conservazione e archiviazione informatica di esso, ma nel mantenimento del diretto ed agevole accesso a quel risalente servizio giornalistico pubblicato diverso tempo addietro e della sua diffusione sul Web con conseguente pregiudizio per i soggetti coinvolti.” (Corte di Cassazione, sez. I civile, sent. 24 giugno 2016, n. 13161).
Tale sentenza ha confermato la precedente decisione del Tribunale di Chieti il quale aveva condannato al risarcimento del danno per violazione del diritto all’oblio sia il direttore che l’editore di una testata giornalistica telematica per la permanenza a tempo indeterminato di un articolo su una vicenda giudiziaria penale risalente nel tempo ma ancora non conclusasi avente come protagonisti i ricorrenti, i quali lamentavano un pregiudizio alla propria reputazione personale con conseguente danno all’immagine di un locale da loro gestito.
Gli ermellini specificano ancora che: “l’illecito trattamento dei dati personali è stato dal tribunale specificatamente ravvisato non già nel contenuto e nelle originarie modalità di pubblicazione e diffusione on line dell’articolo di cronaca sul fatto accaduto nel 2008 nè nella conservazione e archiviazione informatica di esso ma nel mantenimento del diretto ed agevole accesso a quel risalente servizio giornalistico del 29 marzo 2008 e della sua diffusione sul web quanto meno a fare tempo dal ricevimento della diffida in data 6 settembre 2010 per la rimozione di questa pubblicazione dalla rete (spontaneamente attuata solo nel corso del giudizio)”.
Quindi viene stabilito un “congruo” termine dopo il quale l’interesse pubblico alla lettura della notizia viene meno, si ribadisce inoltre che alla richiesta di cancellazione si doveva ottemperare subito dato il tempo trascorso ed infine che il diritto di cronaca rimane intatto istantaneamente, ma non si possono trattare dati sensibili e renderli fruibili al pubblico per sempre, poichè dopo un certo lasso temporale prevale sempre la privacy, salvo consenso del soggetto interessato”.

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