Il blocco farmacologico dell’azione della proteina Rac1 potrebbe essere una strada molto efficiente per ricostituire una corretta funzione endoteliale nei vasi sanguigni, rappresentando quindi una potenziale terapia contro diverse patologie vascolari. È il risultato di uno studio condotto dal Laboratorio di Fisiopatologia Vascolare dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli e pubblicato sulla rivista scientifica Journal of the American Heart Association. Nel loro lavoro i ricercatori molisani hanno concentrato la loro attenzione sulla disfunzione endoteliale, che colpisce il rivestimento interno dei vasi sanguigni, in particolare le vene. Molto più di un semplice canale, l’endotelio è oggi considerato un vero e proprio organo endocrino, e tra le principali funzioni svolte dalle sue cellule vi è la produzione di ossido nitrico, una piccola molecola gassosa che gioca un ruolo decisivo nella salute del sistema circolatorio. Una alterazione delle funzioni endoteliali, con la conseguente modifica nel metabolismo dell’ossido nitrico, è alla base di molte patologie cardiovascolari, sia a carico delle arterie (infarto, malattia arteriosa periferica, ictus) che delle vene (trombosi venosa profonda, insufficienza venosa). È per questo motivo che i ricercatori del Neuromed hanno preso in considerazione una proteina, Rac1, già nota per essere coinvolta nei processi infiammatori e nella risposta allo stress ossidativo a livello vascolare. Gli esperimenti sono stati condotti, in laboratorio, su segmenti di vena safena prelevati da pazienti nel corso di normali interventi chirurgici per una insufficienza venosa o per eseguire un bypass. “Il nostro studio – dice Sebastiano Sciarretta, del Laboratorio di Fisiopatologia Vascolare Neuromed, ultimo nome del lavoro – ha esplorato a fondo gli effetti di un blocco farmacologico della Rac1. E abbiamo visto che su quei campioni di vene l’inibizione della proteina riportava alla normalità la funzione endoteliale, e questo veniva ottenuto attraverso una maggiore disponibilità di ossido nitrico”. Questi risultati potrebbero aprire la strada a un nuovo tipo di interventi terapeutici che mirino a ridurre la disfunzione endoteliale nei pazienti. “Significherebbe – commentano Albino Carrizzo, primo firmatario della pubblicazione, e Carmine Vecchione, professore nell’Università di Salerno presso il Neuromed – avere una nuova arma farmacologica per la lotta contro diverse patologie che colpiscono le vene. Naturalmente saranno necessari ulteriori studi futuri che, oltre ad approfondire i risultati raggiunti, dovranno puntare a verificare se lo stesso meccanismo può dare benefici anche a livello delle arterie”.
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