Alessandro Di Lisio, l’eroe molisano ucciso da una mina: lo struggente ricordo di familiari e compagni dell’Esercito

Momento di grande emozione questa mattina all’interno della chiesa di Santa Maria del Monte, a Campobasso, nel ricordare la figura di Alessandro Di Lisio, il 25enne campobassano caporal maggiore scelto della Folgore dell’Esercito Italiano, ucciso in un attentato in Afghanistan nel 2009 durante il quale rimasero feriti altri militari. Durante la Santa Messa e la successiva cerimonia che si è tenuta davanti al sacello del giovane parà nel cimitero cittadino, dove erano presenti anche i genitori, Alessandro è stato ricordato sia per le sue caratteristiche umane sia per la scelta di servire una causa internazionale nell’ambito di quelle che vengono definite, seppure in maniera impropria, missioni di pace. Il militare molisano, artificiere esperto, che era andato in Afghanistan nella primavera del 2009, oltre che per aiutare i civili era in azione proprio per scovare le mine piazzate dai talebani. Alcuni compagni dell’Esercito, dopo le celebrazioni, hanno eseguito 20 flessioni davanti alla lapide in suo omaggio. Questo pomeriggio il quadrangolare di calcio, dedicato ad Alessandro, nel quartiere San Giovanni.

Il messaggio del sindaco Battista. “Ricordo due grandi ali di folla. In quel caldo pomeriggio di luglio, davanti al Comando Esercito Molise, c’era davvero tanta gente. Soprattutto giovani, raccolti in un religioso silenzio. Poi ricordo l’arrivo del carro funebre, il lungo e commosso applauso e gli occhi pieni di lacrime di quanti continuavano a fissare il feretro di Alessandro Di Lisio. Un forte abbraccio con cui Campobasso volle omaggiare un suo figlio che non c’era più, ma che aveva dato prova, a soli 25 anni, di avere coraggio e soprattutto di credere nella solidarietà, nell’impegno civile e militare. Valori tanto importanti per lui da decidere di partecipare ad una delicata missione di pace in Afghanistan. Una missione che per Alessandro si è conclusa il 14 luglio del 2009. In quella terra così difficile il paracadutista ci era arrivato da qualche mese. Alla famiglia raccontava di stare bene, non voleva che si preoccupassero per lui. Quella mattina, insieme al suo gruppo, aveva iniziato a lavorare, come ogni giorno, per portare in quel Paese di sangue e morte, un senso di umanità di cui quella gente, sfiancata da una guerra senza fine, aveva estremo bisogno. Alessandro credeva in tutto quello che faceva e dava importanza all’aiuto che un uomo può offrire ad un altro uomo, alla speranza che un popolo può donare ad un popolo in difficoltà. Ma il 14 luglio di nove anni fa, i suoi progetti si infrangono lungo una polverosa strada, a 50 chilometri da Farah: lo scoppio di un ordigno non gli lascia scampo, per lui non c’è nulla da fare. La notizia si diffonde prestissimo e arriva in un lampo fino a Campobasso. Su televisioni e giornali rimbalzano le terribili immagini girate in Afghanistan: un colpo al cuore. Il Molise piange e si stringe accanto alla famiglia del valoroso paracadutista che in silenzio ha affrontato una simile tragedia. Un dolore che gli anni non ha lenito, ma che sin da subito i campobassani hanno trasformato in ammirazione, in orgoglio. Orgoglio di una comunità che in Alessandro ha rivisto l’importanza di dar peso al coraggio di tendere la mano a chi è in difficoltà, alla forza di lavorare per riportare la pace là dove la pace non esiste più, alla speranza di cambiare il mondo. Principi che erano importanti ieri e che sono importanti soprattutto oggi e che hanno contribuito a fare di Alessandro un simbolo a cui ognuno di noi può far riferimento nelle piccole e grandi azioni e ogni volta che bisogna battersi con responsabilità e coraggio per costruire il bene comune. Un esempio quello di Alessandro che continuerà a vivere grazie anche al Comitato, presieduto dalla mamma Dora, che opera in onore del figlio e di quanti hanno perso la vita nelle missioni umanitarie. Alla signora Di Lisio e all’intero Comitato vanno i miei più sentiti ringraziamenti per il prezioso lavoro che stanno svolgendo, un lavoro che permetterà di mantenere viva la memoria di chi non c’è più per aver cercato di migliorare questo mondo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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