Pecorelli, la spina nel fianco del ‘potere’. La sorella Rosita: ‘Ucciso per amore della verità’

Sul volto di Rosita Pecorelli c’è ancora la speranza di riuscire ad ottenere la verità sulla morte di suo fratello Carmine, il giornalista originario di Sessano del Molise ucciso a colpi i pistola la sera del 20 marzo del 1979, a Roma, in via Orazio, poco prima delle 20,40, mentre era nella sua auto. Ma c’è anche la consapevolezza che dopo tutti questi anni la strada resta molto difficile. Il suo principale auspicio è che venga restituita dignità alla figura di Mino, inizialmente infangata persino da una parte della stampa, con ipotesi assurde circa le ipotesi celate dietro l’omicidio. Mino Pecorelli era un giornalista “scomodo” per molti, godeva di ottime fonti e aveva portato avanti inchieste delicate. Fondatore dell’Osservatorio Politico, amava studiare e raccontare verità che altri non avevano il coraggio di raccontare. La sorella Rosita, ospite nella sede dell’Ordine dei Giornalisti del Molise, racconta che Mino amava la sua terra d’origine. Si commuove quando a turno i presenti elogiano la figura del fratello con apprezzamenti e racconti personali. Come quando il sindaco di Campobasso Battista le ha regalato una collana di opere sulla storia della città o il sindaco di Sessano Venditti ha ricordato l’intitolazione di una piazza al giornalista molisano. Con lei sono presenti anche il professore Giuseppe Pardini e i vecchi collaboratori di Pecorelli a Op, Paolo Patrizi e Sergio Te, che hanno raccontato quegli anni dal punto di vista sociale e giornalistico, e ricordato che la rivista – nata come agenzia di informazione – finiva sui banchi dei parlamentari, era letta, ma le copie non sono facilmente reperibili. Una di queste è stata donata al presidente dell’Ordine Pina Petta che ha promesso che Mino Pecorelli troverà il giusto tributo presso la sede locale. L’aspetto del processo ai presunti mandanti dell’omicidio – terminato con il proscioglimento degli imputati – è stato affrontato dall’avvocato di famiglia e dallo scrittore e giornalista Alvaro Fiorucci, che ha scritto un libro insieme a Raffaele Guadagno “il divo e il giornalista”, che ricostruisce proprio la parte delle indagini e del processo. Si parla di 500mila carte nel corso delle indagini, 250mila prodotte nel dibattimento, oltre cento udienze e duecento testimonianze. Purtroppo tutto senza colpevoli. Mandante ed esecutore restano senza un nome, ma come ha commentato Fiorucci i motivi sono spiegati in quegli anni, in ciò che era successo negli ultimi dieci anni e in ciò che sarebbe successo in quelli successivi. Al termine dell’incontro il consigliere dell’Ordine Nazionale Enzo Cimino ha promesso l’istituzione di una concorso giornalistico intitolato a Mino Pecorelli. Lo stesso Cimino, dopo aver ringraziato gli intervenuti, si è detto deluso della mancanza del nome di Pecorelli fra i “martiri” del giornalismo elencati all’ingresso della sede dell’Ordine nazionale a Roma e ha garantito che si batterà per lo scopo.

 

 

 

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