Clochard per scelta, la storia e i disagi di Eugenio “ospite” del Parco dei Pini

Quando Parco dei Pini inizia a riempirsi di passi sui marciapiedi, di voci che entrano ed escono dalle attività commerciali, del rumore dei motori che attraversano via Trombetta e del cinguettio degli uccelli che si posano sugli alberi vicini anche Eugenio (nome di fantasia) è costretto a tornare a far parte della vita di questo squarcio della città. E magari non sono solo i rumori a svegliarlo da quel sonno in cui per un’altra notte si era rifugiato. Il problema è che in questi giorni ad una certa ora del mattino, seppure sullo spiazzale che ha scelto per dormire il sole faccia capolino solo nel pomeriggio, inizia a fare davvero caldo e il contatto col tessuto delle coperte, utilizzate come unico e sottile elemento di divisione dal ruvido pavimento, non gli risparmia una fastidiosa sudorazione. Eugenio non ha fretta di alzarsi. Eugenio non deve andare a timbrare un cartellino o svolgere qualche mansione per “guadagnarsi la giornata”, come si suol dire. O, almeno, nessuno sa cosa faccia davvero. (‘E se facessi il clochard?’) A chi gli chiede: “Eugenio, stai provando a fare qualcosa?“, lui risponde in maniera molto vaga. Una volta, dopo gli studi, ci aveva provato a trovare lavoro. Così avrebbe raccontato ad alcuni commercianti di via Trombetta che hanno stretto amicizia con lui.

Il giovane campobassano, 35 anni, si alza e scrolla la sua coperta, ripiegandola come fossero le lenzuola del suo letto. Ha il volto e le mani scure, i vestiti sporchi, ma forse lui neanche ci fa più caso. Che badino gli altri a questi dettagli. Eugenio recupera il suo zainetto, posato sulla panchina in cemento e dov’è contenuto tutto il resto della sua vita. Forse un cappello, alcuni spicci rimastigli, una vecchia foto che ha portato con sè che magari ritrae qualcuno della sua famiglia. I suoi genitori non ci sono più. Suo padre era un dipendente del Ministero dell’Interno, una persona conosciuta e rispettabile. Forse c’è stato un tempo in cui quell’uomo sapeva quali fossero le aspirazioni del figlio. (‘E se facessi il clochard?’) In una terra in cui le speranze rischiano di sgretolarsi presto. Ha anche una sorella, dicono. Ma non sembra che con lei e altri parenti scorrano buoni rapporti. O semplicemente la regola appare sempre la stessa: voglio stare per conto mio. Eugenio ha sete. La bottiglia di plastica posata al fianco dello zaino è ormai vuota come le sue tasche. La signora Anna, titolare della parrucchieria che si trova proprio di fronte a quel trasparente monolocale, improvvisato negli ultimi giorni dopo che il ragazzo nei mesi precedenti si era più volte spostato, essendosi imbattuto nelle lamentele di residenti e commercianti di altri punti della zona, lo nota dalla soglia della sua attività, lo saluta e lo invita ad entrare. Lui all’inizio accenna un timido rifiuto, poi il bisogno gli fa cedere a quel gesto di gentilezza.

(nella foto la signora Anna si racconta col nostro cronista)

La donna gli offre una bottiglia di acqua ma Eugenio preferisce tenere la sua e riempirla dal rubinetto del bagno. Poi prende le sue cose e va. Senza una meta precisa, a parere di chi parla con lui. C’è chi lo avrebbe intravisto passeggiare al centro, chi nei pressi del terminal, altri seduto davanti la chiesa di San Francesco. Come fa a mangiare? Chi lo sa. Probabilmente elemosina qualche soldo per comprare un panino o un pezzo di pizza. “Sembra che non voglia farsi aiutare più di tanto, che cerchi una mano solo proprio quando arriva allo stremo delle forze“, ci racconta Anna. “Ama gli animali e capisce di tecnologia, l’altro giorno parlava di smartphone“, ci informa Michele, un altro negoziante di via Trombetta. Un giorno lo hanno convinto ad andare alla Caritas. Qui Eugenio si è rifocillato e si è lavato da capo a piedi. Con la barba tagliata, pulito e con vestiti nuovi alcuni avrebbero giurato che fosse un’altra persona. Un’illusione durata però pochi giorni. (‘E se facessi il clochard?’) Alla Caritas non lo avrebbero più visto, manco per consumare un piccolo pasto, nonostante il suo nome fosse nella lista dei beneficiari della mensa. L’esperienza per un breve periodo era continuata anche alla Casa degli Angeli, dove il giovane aveva un posto al chiuso per dormire. Ma un giorno è sparito. Non voleva condividere la stanza con i neri, avrebbe riferito ai gestori. L’apice sarebbe stato raggiunto quando gli sarebbe stato concesso un alloggio in via Marconi. Tempo due giorni e lui ha sbattuto la porta dell’abitazione per tornare a vivere in strada. “Conosciamo da mesi la sua situazione, seguita da un’assistente sociale“, ci ha riferito al telefono l’assessore alle Politiche Sociali Luca Praitano. “Il Comune si è attivato per cercagli un tetto ma il ragazzo appare restio all’aiuto delle istituzioni. Esiste il progetto “Senza fissa dimora”, presentato un mese fa, in cui potrà essere coinvolto, l’importante però è che lui ne voglia far parte. Basti pensare che potrebbe accedere al reddito di cittadinanza ma a quanto ne so non presenta domanda. E’ chiaro che bisogna comprendere i suoi bisogni e trovare la soluzione più compatibile con il rispetto della sua persona per aiutarlo.” Stretto fra la voglia di vivere e il rifiuto di quel mondo che intende salvarlo a tutti i costi, Eugenio continua per la sua strada, lungo quell’esistenza che ha scelto, per ora, di condurre, arrivando quasi a cancellare la sua identità in una società che sta tentando di restituirgliela.

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