Genitori distratti o complici? La strafottenza e la maleducazione di gruppi di giovani in barba alle regole

Genitori complici o distratti? La domanda è lecita di fronte all’ennesimo episodio che ha visto coinvolti un gruppo di 10 giovanissimi, fra cui un minorenne, sanzionati dagli agenti della Polizia di Stato nella serata di ieri al centro di Campobasso per essersi incontrati senza un valido motivo in piena zona rossa e creando un prevedibile assembramento. Una riunione in barba alle regole, come se il lockdown fosse un punizione degli adulti-senior e non una misura per contenere il contagio da un virus che finora ha generato oltre 2 milioni e mezzo di morti nel mondo. La preoccupazione non è evitare di contrarre il Covid ma stare attenti a non dare troppo nell’occhio per essere beccati da qualche ‘sbirro’ o giudicati male da qualche residente rompiscatole. Tanto vale, per limitare simili rischi, incontrarsi in una strada secondaria del centro, semi nascosti, dove ci si può spingere ad abbassarsi la mascherina con minori remore, ad esempio per sorseggiare insieme un po’ di birra o anche solo per parlare senza quella dannata stoffa sulla faccia. Capire se le mascherine siano rimaste o meno al loro posto non è un dettaglio determinante in questa circostanza, nel momento in cui i dispositivi di sicurezza riducono ma non azzerano le probabilità di un possibile contagio, che salgono se poi il distanziamento viene meno. Purtroppo per i 10 giovani, il residente “rompiscatole” non solo li ha notati ma ha pensato bene anche di segnalare il gruppo al 113 che ha inviato una pattuglia sul posto. Una sorpresa amara per i genitori dei ragazzi quando hanno saputo che i loro figli si erano beccati una pesante sanzione. Ma il problema è proprio questo, visto che non si tratta certo del primo episodio simile in Molise: quanto questi genitori sono corresponsabili delle azioni dei loro figli? Si accorgono che escono di casa, quando fuori è zona rossa? Sanno dove vanno? Affrontano e parlano con loro del problema dell’attuale situazione? Perché la linea fra distrazione e complicità, peraltro entrambe colpevoli seppure in misura differente, è molto sottile. E’ triste, su questo non c’è dubbio, limitare la socialità ai giovani nel fiore dei loro anni. Ma purtroppo siamo nel mezzo di una pandemia, un problema mondiale, e finché le cose non miglioreranno, finché non ci metteremo al riparo da questo virus o lo stesso non sarà debellato, siamo tutti potenziali pericoli per gli altri, potenziali veicoli di sofferenza e morte. Non sono i vaccini il problema, sono i contatti stretti, quelli avuti in un ufficio o in una casa o in un luogo pubblico fra persone che non vivono sotto lo stesso tetto, quelli avuti ad esempio in un vicolo della città fra un gruppo di amici dove, per assurdo, potrebbe esserci l’idiota superficiale di turno che magari è anche positivo al Covid senza saperlo, finendo per contagiare i suoi coetanei, che a loro volta porteranno il virus ai loro genitori e ai lori nonni, alcuni dei quali staranno male, finendo in un letto di ospedale. Forse rimettendoci la vita. Questo dovrebbe essere il senso della zona rossa, che a tratti, per come viene spesso interpretata nei fatti da chi dovrebbe seguirla, ossia un’intera popolazione, appare ridicola. Il richiamo al senso di responsabilità non di rado viene ignorato e piuttosto si cerca la scusa per spostarsi e raggirare la norma. Tornando quindi all’ultimo episodio e a tutti gli altri simili verificatisi in passato, le domande a cui vorremmo dare una risposta sono queste: dove sono le famiglie? I genitori di questi ragazzi sono troppo permissivi o sono loro i primi a snobbare il problema?

(foto archivio)

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