Angel Cappa non è un nome che in Italia si sente molto ma per gli Argentini sta diventando molto importante: nel 2017 ha pubblicato, insieme alla figlia Maria, un piccolo libricino che sta facendo parlare ancora di sé a quasi un decennio di distanza in patria chiamato “También nos roban el fútbol” ovvero “Ci rubano anche il calcio”, un pamphlet appassionato contro la mercificazione dello sport più amato d’Argentina.
Per Cappa, infatti, il calcio è prima di tutto un patrimonio collettivo che vai dai calciatori che scendono in campo ai tifosi che riempiono gli stadi, passando poi per le migliaia di volontari che animano i club attraverso la funzione di migliaia di centri sociali sparsi per tutta la nazione, senza che lo scopo di lucro “insozzi” l’obbiettivo finale. Per Cappa, come anche per tanti appassionati di calcio che si dilettano con le scommesse oggi, quella dei club-associazione è una forma di proprietà intellettuale condivisa che rappresenta un baluardo fortissimo contro l’invasione dei grandi capitali d’affari, che rischiano di svuotare di significato l’esperienza sportiva.
Una posizione forte ma condivisa
Il libro è piaciuto a molti, tra cui anche César Luis Menotti, ex CT della nazionale, che è intervenuto a una delle prime presentazioni del libro parlando della minaccia rappresentata dalla privatizzazione selvaggia delle squadre. Menotti e Cappa, infatti, avevano previsto in maniera molto precisa l’avanzata dei colossi stranieri come fondi d’investimento stranieri desiderosi di mettere le mani sui patrimoni sociali e umani delle squadre locali, finendo per snaturare l’identità di un fenomeno sociale molto più che “sportivo” in Argentina.
Questo perché nello stato del Sud America, le associazioni sportive storiche rappresentano un nucleo fondamentale per il tessuto comunitario: le famiglie le utilizzano come supplemento alla scuola, permettendo ai propri figli di imparare uno sport e scoprire le gioie della comunità, il tutto senza che ci siano imponenti spese da sostenere.
A rappresentare una minaccia per questo sistema c’è però la più alta carica di stato: Javier Milei. Il neopresidente, infatti, punta a liberalizzare in maniera netta e concreta il sistema calcistico argentino, permettendo a investitori stranieri di controllare interamente una squadra; il suo obbiettivo finale è quello di importare quello che, di fatto, è il modello anglosassone.
Per Milei l’obbiettivo finale è semplice: è alla ricerca di capitali freschi in grado di risollevare club indebitati come l’Independiente, senza curarsi del fatto che c’è un rischio concreto di trasformare club storici come Boca, River o Estudiantes in succursali di grandi fondi d’investimento.
Cosa sta facendo il presidente Milei al calcio argentino?
Il primo passo è stato posto da Milei durante il corso del 2023 con un DNU, che ha formalmente aperto la possibilità di una conversazione delle squadre in una forma societaria diversa attraverso un voto a maggioranza qualificata dei soci, ricevendo però una risposta particolarmente negativa dalla AFA (Asociaciòn del Fùtbol Argentino). L’idea di Milei non è stata preso bene da praticamente nessun Club: né River, né Boca, né San Lorenzo hanno espresso la volontà di seguire l’idea del presidente della nazione; anche i piccoli club che poggiano le loro radici nei quartieri popolari hanno mostrato con le unghie e con i denti quanto sia importante l’idea della gestione dal Basso.
Lo scontro tra modello associativo e modello aziendale si gioca principalmente negli studi legislativi della capitale Buenos Aires ma anche nelle curve degli stadi più popolari, in un paese dove il calcio è considerato come lo sport “socialista” per definizione. La privatizzazione potrebbe portare le squadre argentine ad avere le risorse necessarie per competere in un campionato della massima serie, facendo queste ultime popolare le scommesse champions league su piattaforme come betfair, ma non siamo sicuri che sia quello che interessa a chi questo calcio lo manda avanti con i propri soldi e il proprio tempo.