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Home»1. Categorie news»Attualità»L’inginocchiatoio della “discordia” torna al suo posto: la curiosità storica sull’arredo della Cattedrale di Larino

L’inginocchiatoio della “discordia” torna al suo posto: la curiosità storica sull’arredo della Cattedrale di Larino

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Di MoliseTabloid il 8 Gennaio 2025 Attualità, Larino
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L’inginocchiato antistante l’attuale trono episcopale della basilica cattedrale di Larino, quello posizionato al centro del coro situato alle spalle dell’altare maggiore, è tornato ad occupare il suo posto d’origine. Era stato “accantonato” qualche decennio fa allo scopo di offrire uno spazio più ampio per le celebrazioni liturgiche. Proprio quel genuflessorio, in apparenza privo di un significato particolare, presenta un frammento di storia recente di cui si è perduta completamente memoria.
A renderne noti i dettagli è Giuseppe Mammarella, direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Termoli-Larino.
“Dopo i lavori di restauro dei primi anni Cinquanta del Novecento, la cattedrale larinese venne riaperta al culto nella primavera del 1955.
Il 31 ottobre di quell’anno fece il suo ingresso solenne nella città frentana mons. Antonio Ravagli nominato, il 4 luglio precedente, Vescovo Titolare di Filippopoli d’Arabia ed in pari tempo Coadiutore “sedi datus”, per la sola diocesi di Larino, da oltre venticinque anni priva della presenza fisica del suo Presule, dal momento che mons. Oddo Bernacchia aveva fissato la sua stabile dimora in Termoli. Fu un vero trionfo come dimostrano le oltre diecimila persone presenti.

Prima di andare oltre, è opportuno rammentare che nell’ottobre del 1924, al fanese mons. Bernacchia, già Vescovo di Larino, venne affidata anche la sede di Termoli. Questa seconda nomina suscitò una serie di malcontenti e disordini nella città adriatica dove non era gradita l’unione “ad personam” di un Presule di Larino (cfr. il mio Saggio, “Quando la protesta montava dal mare…”, in “Almanacco del Molise 1989”). Solo qualche anno dopo, però, mons. Bernacchia decise di fissare il suo definitivo domicilio in Termoli, comportamento, questo, che creò alla circoscrizione ecclesiastica di Larino “molte e dolorose ferite”. L’episcopato larinese di mons. Ravagli, quindi, come fece osservare il noto giornalista Quinto Cappelli, “va collocato in questo complesso contesto storico, sociale ed ecclesiastico, in cui la figura del Vescovo sembra identificarsi con l’identità stessa della città”. Il compianto mons. Raffaele Faccone, allora Rettore del Seminario interdiocesano, ebbe a ricordare che la delegazione di Larino, portatasi nella città adriatica per accogliere mons. Ravagli ed i suoi accompagnatori ivi giunti in treno da Castrocaro il 31 ottobre 1955, rimase un po’ male quando seppe che mons. Bernacchia desiderava unirsi a loro per l’ingresso a Larino; tutti si aspettavano, infatti, che l’anziano Vescovo restasse a Termoli. “Allora – disse testualmente mons. Faccone – si formò un corteo di macchine non proprio ordinato, perché l’autista di mons. Bernacchia, Primo Bucci, che non aveva in simpatia Larino, cercava di fare qualche dispetto ai larinesi. Comunque alla fine le cose andarono bene, grazie anche all’impegno del Vicario Generale mons. Nicola Silvestris e di altri presbiteri”.

Alla riapertura della cattedrale del 1955, fu deciso di rinnovare anche il coro con il trono episcopale al centro dello stesso. Il Capitolo larinese, collegio di presbiteri operante nei capoluoghi delle diocesi allo scopo di aiutare e supplire il Vescovo nel governo del territorio a lui affidato, subito dopo l’arrivo di mons. Ravagli affidò l’incarico di realizzarlo ad un noto laboratorio di Ortisei e all’insaputa del Vescovo Coadiutore, fece scolpire, sul fronte esterno del genuflessorio della cattedra episcopale, lo stemma di quest’ultimo anziché quello del Presule Residenziale. Ovviamente quando mons. Bernacchia seppe del fatto, restò molto male. Questo particolare la dice lunga sul clima dell’epoca. Per la storia della cattedrale e della diocesi di Larino resta senza alcun dubbio un documento importante.
Mons. Ravagli, amato e stimato da tutti, si trovò ad operare in una situazione difficile. Clero e fedeli lo avrebbero voluto a lungo tra loro, ma con pieni poteri. Mons. Bernacchia si mostrò, qualche volta, troppo autoritario nei confronti del suo Coadiutore per la sola diocesi di Larino che, però, ebbe la capacità di rimanere sempre docile e rispettoso. Lasciò Larino (città in cui tornò più volte) nella primavera del 1959 per Modigliana, sua diocesi di origine, dove operò fino al 1970 anno in cui fu destinato a Firenze come Ausiliare dei Cardinali Ermenegildo Florit e Giovanni Benelli. Alle molteplici dimostrazioni di affetto che gli giunsero prima di partire per il capoluogo toscano ebbe a sottolineare: “non vado a Firenze in cerca di gloria e carriera, ma solo per continuare a servire la Chiesa nonostante i miei limiti e difetti”.

A proposito della permanenza del Presule nella città frentana, la nipote Lucia Ravagli, intervistata dal giornalista Cappelli affermò: “Sono andata due volte a Larino […] a trovare lo zio […]. Si notavano molto marcate differenze fra le classi sociali: da una parte i notabili […]; dall’altra la povera gente, in gran parte dedita ancora all’agricoltura […]. Notai anche in generale che gli abitanti di Larino erano persone squisite gentili e anche molto colte […]. In quell’ambiente molto attaccato alle tradizioni religiose, lo zio si sentiva un po’ spaesato. Anche per lui era un mondo nuovo da scoprire […]”.

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