Festa della Liberazione, Toma: “Democrazia non ha colore politico”. Micone: “Giorno di unione”

I messaggi del mondo politico e istituzionale

In occasione del 25 aprile sono diversi i rappresentanti istituzionali e gli esponenti politici che hanno esprimere il loro messaggio per ricordare la lotta di resistenza militare e politica attuata dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale a partire dall’8 settembre 1943 contro il governo fascista della Repubblica Sociale Italiana e l’occupazione nazista.

Patriciello: “Fare memoria è un dovere”.
Il 25 aprile appartiene a tutti gli italiani, a tutti coloro che anelano alla libertà ed alla democrazia. Quella del 25 aprile non è solo una data cerchiata in rosso: è il giorno del ricordo, del coraggio e dell’impegno di uomini e donne che con tenacia hanno prestato la vita con la speranza di cambiare il presente e consegnare al nostro Paese ed alle nuove generazioni un futuro di pace e giustizia. Fare memoria è un dovere, non solo un mero esercizio storiografico. Ricordare gli eventi accaduti in quegli anni significa, ancora oggi, tenere viva la fiamma di solidarietà che attraversò l’Italia ed allontanò l’orrore e la barbarie nazifascita. Quella stessa solidarietà che ha dato vita all’idea di Europa e alla scrittura del Manifesto di Ventotene, atto di nascita di una comunità, quella Europea, unitaria e democratica. Per questi motivi è necessario celebrare la Liberazione. Per volgere lo sguardo al passato, non mettere in pericolo nuovamente la nostra libertà e fare in modo che insieme si possa scorgere all’orizzonte un futuro diverso. Anche per l’Europa”. Così Aldo Patriciello, parlamentare europeo e membro del Gruppo Ppe, nel giorno del 25 aprile, festa della Liberazione.

Il presidente del Consiglio regionale Micone: “Oggi sia un giorno di unione”
Il 25 aprile del 1945, giorno dell’insurrezione generale proclamata dal Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Itala nelle grandi città del Nord, rappresenta per il nostro Paese una sorta di spartiacque: la fine di un conflitto terrificante, portatore di morte e distruzione, e l’inizio di un percorso civile e democratico che ha dato vita poi alla Repubblica e quindi alla democrazia. Una ricorrenza importante, dunque, che deve sentire partecipe ogni italiano e quindi ogni molisano, di qualunque credo politico e di qualunque ideologia. La fine di una guerra, la creazione di una pace da cui sono scaturite nuove fondamenta per un edificio civile equo, giusto, garante della libertà e della democrazia, come lo Stato repubblicano, non può che essere un risultato di ogni Italiano moderno. Oggi più che mai questa festa deve essere intesa come un traguardo di tutto il popolo italiano (e non certo di una parte contro un’altra) che nell’affermare i principi e i valori che sostennero le azioni dei partigiani, provenienti certamente dalla tradizione democratica e liberale (appartenuta ai movimenti cattolici, socialisti, comunisti, riformisti, repubblicani), fa rivivere, nel contempo, gli ideali risorgimentali che volevano un’Italia nuova, libera, moderna, progredita, solidale, politicamente e democraticamente evoluta. Allora facciamo di questa festa un giorno di unione per cercare all’interno della nostra millenaria storia i punti di comunione e di condivisione culturale e intellettuale, oltre che politica ed ideologica, che insieme ci hanno portato al Paese in cui viviamo oggi che, pur scontando tante problematiche, rappresenta la concretizzazione di un sogno, l’Italia libera e moderna, che fu di tanti, molti dei quali molisani, fin dal 1861. Sia questa l’occasione per ricordare tutti i morti della seconda guerra mondiale, per onorarne la memoria con un sentimento civile di unità nazionale e di promozione dei valori più sacri della resistenza. Ma sia anche l’occasione per ricordare chi si batte’ per quella libertà che Calamandrei diceva essere come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”.

Toma: “Democrazia e antifascismo non hanno colore politico”
«Contrariamente a quanto accade per altre festività nazionali rispetto alle quali si è consolidato lo spirito unitario del Paese, il 25 aprile continua a dividere, genera contrapposizioni, talvolta laceranti, offre il fianco al tentativo di fornire una chiave di lettura di parte che non rende giustizia alla verità storica. La narrazione di quel periodo, tra settembre 1943 e aprile 1945, e dei fatti che portarono alla liberazione dell’Italia dal regime nazifascista e alla fine del secondo conflitto mondiale in Italia è sottoposta ad una sorta di filtro ideologico che genera confusione soprattutto nelle giovani generazioni che, al contrario, avrebbero bisogno di una ricostruzione quanto più possibile aderente alla realtà degli accadimenti e scevra da ogni condizionamento da parte di chi, per ragioni opposte, tende a darne un’interpretazione funzionale alla propria posizione politica. Il 25 aprile 1945, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamò l’insurrezione della città di Milano, che fu liberata il 28 aprile. Il 29 aprile fecero il loro ingresso gli americani con l’avanguardia della 1st Armored Division. Nello stesso giorno, la resa di Caserta sancì la sconfitta delle forze armate nazifasciste e la fine in Italia della Seconda guerra mondiale. La Resistenza italiana ce l’aveva fatta. Venti mesi, o giù di lì, di aspra e sanguinosa lotta armata in cui furono impegnati partigiani, gruppi del ricostituito Esercito italiano, forze alleate. Le Brigate partigiane erano costituite da combattenti di diverso orientamento politico che trovavano la sintesi nel Comitato nazionale di liberazione, dove erano presenti rappresentanti del Partito comunista, del Partito socialista italiano di unità proletaria, del Partito di azione, del Partito democratico del lavoro, della Democrazia cristiana e del Partito liberale italiano. Il Corpo italiano di liberazione, che da singola Unità venne poi trasformata nei Gruppi di combattimento, era composto, prevalentemente, da soldati di fede monarchica, se non altro a livello di alti ufficiali. Il contingente alleato poteva fare affidamento su soldati statunitensi, inglesi, canadesi, australiani, neozelandesi, sudafricani, indiani, polacchi, francesi, algerini, tunisini, senegalesi e goumier, marocchini di etnia berbera. La vittoria sui nazisti e sui repubblichini di Salò fu resa possibile grazie all’azione sinergica e combinata di questi soggetti, diversi per fede politica, per credo religioso e per nazionalità, che pagarono con un alto numero di caduti il prezzo per un’Italia libera. Lottarono, tutti insieme, contro l’invasore tedesco e la dittatura nazifascista per l’affermazione della democrazia e della libertà. Questi i fatti, questa la storia. Ebbene, quanti ancora oggi si ostinano a dare una connotazione politica e ideologica al 25 aprile commettono un grave errore e mistificano gli eventi. Indubbiamente, nella Liberazione confluiscono diversi aspetti identitari e interagenti, quali il patriottismo, il desiderio di rendere l’Italia libera dall’oppressione nazista e dal ventennio fascista, la guerra civile fra italiani schierati su due fronti, l’aspirazione all’insurrezione rivoluzionaria da parte della frangia stalinista della Resistenza. Tutti fattori che vennero armonizzati dalla democrazia e condussero alla fondazione della Repubblica italiana. Cosa celebriamo, dunque, con la Festa della Liberazione? Innanzitutto, onoriamo la memoria di tanti uomini e donne che offrirono la loro vita per dei nobili ideali, poi ribadiamo il grande merito che la Resistenza ha avuto quale antesignana dei due grandi pilastri su cui poggia la nostra Costituzione: la democrazia e l’antifascismo. Pilastri che non hanno colore, perché non sono né di destra, né di sinistra. Essi fanno parte del DNA del popolo italiano, orientano il nostro presente e il nostro futuro, ci chiamano ad essere estremamente vigili laddove vi fosse qualcosa o qualcuno che possa metterli in discussione. La libertà di autodeterminarsi, quando non possibile o impedita, richiede un’azione di liberazione tendente a riaffermare i valori condivisi di un popolo. Il “liberatore”, prima oppresso, deve adoperarsi per ristabilire, col tempo, il giusto equilibrio tra se stesso e gli altri attraverso un processo di pacificazione. Su tali presupposti, ritengo vada ritrovato il senso autentico, condiviso e unitario, del 25 aprile». La riflessione del presidente della Regione Molise sulla Festa della Liberazione in occasione della celebrazione del 74° anniversario.

Il sindaco di Campobasso Battista: “Impedire steccati che mettano uomini contro altri uomini”
Per poter percepire certi sentimenti bisogna sentirli dentro. Per poter provare determinate emozioni occorre viverle o quantomeno farle raccontare dalla voce di chi le ha ancora impresse nei propri occhi e che con passione le fa arrivare alle nuove generazioni affinché la storia, la nostra storia, non cada nell’oblio. Mai. Oggi XXV Aprile è una data che va onorata e – anche se in alcuni comuni d’Italia le cerimonie sono state bandite come a voler strappare da un libro le pagine che ci appartengono – noi non abbiamo alcuna intenzione di dimenticare l’impegno e il sacrificio dei nostri genitori e dei nostri nonni. Uomini e donne che non si sono risparmiati, che hanno lottato per regalarci un nuovo Paese. Sono loro che ci hanno dato la possibilità di arrivare fin dove siamo arrivati, che hanno annientato il nazifascismo e ricomposto i pezzi di un’Italia e di un’Europa ormai in ginocchio. Sono proprio quegli uomini e quelle donne che ci hanno fatto rialzare e correre per ricostruire, dopo anni bui e di guerra, la nostra comunità e l’identità, e sono sempre loro che ci hanno aiutato a progettare un futuro da condividere con gli Stati del vecchio continente. Passi importanti che hanno permesso di arrivare a scrivere la Costituzione incamminandosi sul percorso che ha unito un grande popolo che non può non ispirarsi a quegli stessi principi che hanno portato uomini e donne a lottare sulle montagne, nei luoghi più impervi, fino a perdere la vita, per affermare la pace e la libertà. Colonne portanti della società ma che hanno bisogno di cure affinché rimangano solide così come volute da volti, voci, ideologie che in questa giornata vanno ricordati. È per quanti sono stati in prima linea, per quanti non hanno avuto paura di morire che abbiamo il dovere di attualizzare il loro coraggio, di prendere in prestito i loro valori e di farli nostri, impedendo a chiunque di dividere o spaccare tutto ciò che loro unirono con grande sacrificio. Grazie a loro viviamo in uno stato democratico, e democrazia significa libertà di espressione, di pensiero, ma anche libertà di vivere in un Paese in cui è possibile la convivenza tra popoli, in cui non si dovrebbe puntare il dito, in cui nessuno dovrebbe sentirsi forestiero. Sono convinto che il senso della Liberazione sia anche questo e che nel giorno del XXV Aprile si debba rendere gli onori a quella che è stata la Resistenza ma anche alla pacifica accoglienza e alla solidarietà. Valori che arrivano dal passato, ma che ci fanno vivere civilmente il presente e immaginare un futuro che parla diverse lingue, che utilizza il plurale. Un futuro dove le proprie radici si mescolano alle radici di chi arriva da lontano e dove la cultura di tanti riesca ad avvicinarsi a quella di pochi. In questo giorno così solenne vorrei ricordare anche il trentesimo anno dalla caduta del muro di Berlino, altra data memorabile del XX secolo. Non solo perché è stato materialmente demolito un fiume di cemento, ma perché è stata abbattuta una barriera ideologica che si traduceva in divisione e morte, che ha spaccato un continente, una città e tante famiglie. Un muro abbattuto tre decenni fa ci impone oggi di riflettere sulle sofferenze che generano le restrizioni fisiche e mentali, sul dolore che provocano le distinzioni sociali, razziali, religiose e politiche. Ecco perché occorre impedire, con tutte le nostre forze, che nel 2019, si possano ancora alzare steccati che mettano uomini contro altri uomini. Non è questa la preziosa eredità che ci ha lasciato chi ha vissuto la Resistenza e la Liberazione. Un’eredità che va al di là di certi disegni politici che non condivido perché rispetto la storia che è sovrana e maestra di vita. “Una data il XXV Aprile – diceva Enzo Biagi – che è parte essenziale della nostra storia: è anche per questo che oggi possiamo sentirci liberi. Una certa Resistenza non è mai finita”. E noi dobbiamo contribuire a non far spegnere mai quella fiaccola che ci rende orgogliosi di essere italiani.”

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