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Home»1. Categorie news»Attualità»Otto marzo, quegli acronimi dimenticati: il ruolo assistenziale del Cidd di Campobasso dopo l’abolizione delle “case chiuse”

Otto marzo, quegli acronimi dimenticati: il ruolo assistenziale del Cidd di Campobasso dopo l’abolizione delle “case chiuse”

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Di MoliseTabloid il 8 Marzo 2025 Attualità, In Vetrina, Storia
Il CIDD -Comitato Italiano di Difesa morale e sociale della Donna- fu costituito a livello nazionale nel febbraio 1950, collocandosi nella cornice delle iniziative culturali, politiche e sociali, volte ad abolire la prostituzione legalizzata e favorire il reinserimento sociale di tante donne. Tra i fondatori e promotori, Lina Merlin, le deputate democristiane Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici e Angela Guidi Cingolani. Nella seconda metà degli anni ’70 del Secolo scorso, specifici provvedimenti normativi (DPR nr. 616/1977) determinarono il passaggio alle Regioni dei beni e delle attribuzioni del CIDD. Isotta Scarano (al centro, nella foto) ricoprì la carica di Rappresentante Provinciale CIDD di Campobasso per buona parte degli anni 60 del Secolo scorso.
(Foto: Archivio privato Prof.Dott. Tullio Farina, per gentile concessione)

La prostituzione nel Capoluogo prima della Legge Merlin. Sono ben noti gli aspetti più piccanti legati alla famosa tenutaria donna Peppa (all’anagrafe, Giuseppina Patanè), alle “case” di via del Castello e via San Paolo, alle diatribe, essenzialmente per questioni di onorario, tra la Signora Giuseppina ed i medici incaricati dei controlli sanitari. Spesso, veri e propri “bracci di ferro” e muro contro muro;  tant’è che una volta, proprio un medico, tale dottor Giovanni De Rubertis si vide costretto a scrivere al Prefetto lagnandosi, per l’appunto, della esorbitante differenza di introiti tra lui e la Signora Patanè: « … Mi accontenterei di guadagnare in un mese quanto la tenutaria guadagna comodamente in un giorno … », si legge su una vecchia missiva, oramai ingiallita dal tempo . Storie più o meno note. Meno approfondito, tutto quanto accaduto a Campobasso all’indomani dell’entrata in vigore della Legge numero 75 del 20.02.1958 (c.d. Legge Merlin). Assistenza, tutela e supporto a tante donne e ragazze, che in molti casi erano approdate nel Capoluogo provenendo da altre città e regioni. Chi si assunse l’onere di coordinare le necessarie attività assistenziali? Se ne occupò il CIDD Comitato Italiano di Difesa morale e sociale della Donna, ramificato in tutta la Penisola, operativo a Campobasso con varie sedi, nel tempo ubicate a Via Roma, via Mazzini e via Gioberti. Importanti testimonianze al riguardo, sono custodite presso l’Archivio di Stato di Campobasso, Fondo Prefettura, Gabinetto, III, busta numero 668. Più in dettaglio, i fascicoli 5049, 5052, 5053 e 5054 presenti all’interno della citata busta, ripercorrono il lasso temporale dal 1958 circa al 1975 circa, delineando compiutamente le attività assistenziali poste in essere dal Comitato – in sinergia con le Autorità – a beneficio delle donne definite “assistibili” ai sensi della Legge numero 75 del 20.02.1958, nonché a tutela degli eventuali figli. Il supporto, veniva garantito nel tempo sia a mezzo ospitalità presso edifici in uso al Comitato, sia con apposite elargizioni (vestiario, viveri, sussistenza in genere, ecc.) destinate alle donne non direttamente ospitate nelle anzidette case-famiglia. Dalla lettura dei carteggi, non sfugge all’attenzione una ben precisa circostanza: il Comitato, operativo nel Capoluogo sin dagli inizi degli anni 60 del Secolo scorso, nel tempo estese il proprio campo d’azione ai casi di disagio, bisogno, povertà, ed emarginazione in genere, garantendo (o tentando di garantire) via via assistenza anche ben oltre il perimetro normativo di riferimento legato alla Legge Merlin. Al vertice del locale Comitato, per un periodo operò anche Isotta Scarano (1907-1997), nota docente, persona di profonda cultura, appartenente ad illustre famiglia triventina. CIDD: un acronimo spesso dimenticato o addirittura ignorato dalle nuove generazioni; probabilmente al pari di altre sigle che caratterizzarono l’effervescente associazionismo femminile a partire dall’immediato dopoguerra e che ancora oggi arricchiscono il panorama ed il dibattito culturale, come l’UDI (Unione Donne Italiane, organismo in origine legato al PCI ed al PSI, più recentemente Unione Donne in Italia), oppure il CIF (Centro Italiano Femminile, di area cattolica, la cui prima sede a Campobasso era situata alla via Mazzini 82).

(dott.ssa Stefania Di Claudio, Consigliera Comunale di Campobasso)

Storie di emancipazione, battaglie e movimenti femminili. Ne chiediamo di più a Stefania Di Claudio, Consigliera Comunale di Campobasso, attiva nell’associazionismo sin da giovanissima, particolarmente attenta alle tematiche legate al mondo femminile, ai giovani, alla cultura ed al sociale. «Ho sempre guardato alle occasioni di associazionismo – ci spiega –come opportunità finalizzate al contestuale coinvolgimento di uomini e donne in attività culturali e sociali, anche al di là dei singoli orientamenti politici. Lo scopo – prosegue –deve essere quello di mettere insieme valori, progetti e capacità organizzative, soprattutto a beneficio del mondo giovanile. Creare eventi in grado di sensibilizzare l’opinione pubblica in maniera trasversale ed attrattiva su più tematiche, dall’ambiente, al disagio giovanile, al rispetto uomo-donna, fino alle tradizioni storiche locali». Tra passato e presente, aggiunge: «Rimango scettica, nell’attuale scenario socio-culturale, sull’associazionismo femminile di antico orientamento, proprio perché gli assetti e i riferimenti odierni sono in continua evoluzione, tant’è che non mancano casi in cui nella posizione di “vittima” venga a trovarsi anche l’uomo. Fondamentale in ogni caso la funzione sia dei Centri antiviolenza, sia di tutte quelle evoluzioni normative che, nel tempo, hanno supportato la necessità di reprimere e stroncare sul nascere la violenza e la prevaricazione di qualsiasi forma e natura, fornendo concreto aiuto alle vittime. Anche sull’argomento prostituzione – conclude –, gli scenari sono profondamente mutati: dai casi di sfruttamento, si passa a quelli “per scelta”, fino a fenomeni un tempo impensabili, come il commercio di foto intime, anche ad opera di minori, situazioni, queste ultime, amplificate e facilitate dalle moderne e diffuse tecnologie e che molto spesso sfociano in ulteriori fattispecie penali, legate a ricatti ed illeciti similari. Un contesto dalle mille sfaccettature e dalle altrettante sfumature che, in ultima analisi, credo dovrebbe condurre ad un approfondito dibattito normativo».

                                                                                                                                                                   Antonio Lanza

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