ACCADDE OGGI: 14/6/1994, Padova: clamorosa evasione dal carcere di Felice Maniero, capo della cosiddetta Mala del Brenta

Felice Maniero (Campolongo Maggiore, 2 settembre 1954) è un criminale italiano, è stato a capo della cosiddetta Mafia del Brenta[1].
Soprannominato “faccia d’angelo”, ha commesso rapine, assalti a portavalori, colpi in banche e in uffici postali, ed è stato accusato di omicidi, traffico di armi, droga e associazione mafiosa.
La sua carriera criminale cominciò dall’adolescenza quando aiutava uno zio nei furti di bestiame, successivamente si dedicò alle rapine, soprattutto nel campo dell’oreficeria.
Essendo Maniero e i suoi complici nati a Campolongo Maggiore, un paesino lungo il fiume Brenta, la stampa cominciò a parlare di Mala del Brenta.
Maniero entrò quindi in contatto con le mafie meridionali, delle quali diventò interlocutore garantendo armi e droga alla piccola criminalità di Venezia e di Mestre. La presenza della mafia si nota anche nel fatto che a Venezia venne imposto ai cambisti del casinò una tangente di 1.500.000 lire al giorno, mentre un ricettatore, Gianni Barizza, che tenne per sé parte di una refurtiva, venne assassinato e ritrovato incaprettato.
Arrestato per la prima volta nel 1980, sarebbe successivamente evaso due volte: nel 1987 fugge dal carcere di Fossombrone; nell’agosto 1993 è arrestato sul suo yacht al largo di Capri e viene detenuto nel carcere di Vicenza dove tenta l’evasione corrompendo, con la promessa di 80 milioni ciascuno, due guardie penitenziarie che però si ravvedono ed avvertono la direzione del carcere; si decide il trasferimento al carcere di Padova dove però, il 14 giugno 1994, è protagonista di un’altra evasione assieme ad altri complici (anche in questo caso con la corruzione, questa volta riuscita, di una guardia penitenziaria). La lunga latitanza di Maniero è dovuta in gran parte a un sistema corruttivo che la banda esercitava a vari livelli nei confronti dello Stato.
Catturato a Torino nel novembre successivo, viene condannato a 33 anni di reclusione, poi ridotti a venti anni e quattro mesi (pena definitiva). È stato difeso dall’avvocato veneziano Vittorio Usigli.

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