ACCADDE OGGI: 20/8/636, la battaglia dello Yamuk

La battaglia dello Yarmūk (in arabo: معركة اليرموك, Maʿarakat al-Yarmūk, detto anche Yarmuk, Yarmuq o Hieromyax) comprende una serie di scontri tra il Califfato dei Rashidun e l’Impero Bizantino durati oltre sei giorni nell’agosto del 636, vicino al fiume Yarmūk, lungo quello che oggi è il confine tra Siria e Giordania, a sud-est del Mare di Galilea.
La battaglia si rivelò una delle battaglie più decisive della storia[5][6] e segnò la prima grande ondata di espansione islamica dopo la morte di Maometto, sancendo così la rapida avanzata dell’Islam nelle province della Siria e della Palestina. La battaglia è stata considerata come una delle più decisive vittorie di Khālid b. al-Walīd, consolidando così la sua reputazione di grande stratega e comandante di cavalleria.[7]

La gola del fiume Yarmūk (un affluente di sinistra del fiume Giordano) è una località che si trova in Siria meridionale, presso le alture del Golan. Qui fu combattuta una serie di dure battaglie tra l’esercito bizantino e quello degli Arabi musulmani, guidati da Khālid b. al-Walīd. Questi ultimi rivolsero massicciamente tutta la loro potenza militare contro gli “infedeli” bizantini che, si dice, fossero guidati dallo stesso basileus Eraclio I.

Si erano già avute alcune scaramucce e incursioni effettuate dagli Arabi un paio di anni prima, tutte terminate con la distruzione di accampamenti bizantini e la conquista delle città dove erano stanziati, nella regione della Transgiordania. L’imperatore bizantino Eraclio I era appena uscito da una sanguinosa guerra contro i Persiani, dei quali aveva avuto ragione a caro prezzo. Tuttavia decise di reagire contro gli attacchi arabi che minacciavano i confini del suo impero. La felice scelta del terreno operata da Khālid b. al-Walīd valse già in partenza a impostare l’esito finale della battaglia in senso favorevole agli Arabi musulmani.

Più che di battaglia è corretto parlare di “campagna dello Yarmūk”, visto che gli scontri si reiterarono per oltre un mese. I Bizantini, all’operativo comando di Vahān e di Teodoro Trithurios, erano appoggiati dagli Arabi ghassanidi, anch’essi cristiani, al comando del loro sovrano Jabala ibn al-Ayham. Il totale dei combattenti cristiani era di 15.000-20.000 uomini (ma con gravi problemi di logistica), mentre quello dei musulmani era assai minore, in grado però di sostentarsi senza problemi di demoralizzazione fino ai ripetuti scontri che si produssero lungo l’arco del mese di luglio-agosto. In quel periodo dell’anno il calore era infatti assai sensibile per le truppe bizantine, non perfettamente adattate al clima e abbastanza pesantemente armate (almeno rispetto a quelle arabo-musulmane), e all’interno delle cui fila non mancavano tra l’altro frizioni fra Arabi, Greci e Armeni.

Le fonti bizantine parlarono di tradimento da parte di Vahān, accusando anche di mancato aiuto il funzionario del tesoro di Damasco, Manṣūr, figlio di Sergius. La realtà è che la superiore mobilità araba, la sua capacità di affrontare la dura vita di bivacco e l’alto morale generato dalla loro nuova fede ebbe la meglio sulle tattiche abbastanza statiche bizantine, i loro problemi di approvvigionamento e la demoralizzazione causata dal mancato regolare pagamento del soldo da parte dei soldati, anche senza contare le superiori capacità tattiche e strategiche della “Spada di Dio”: un condottiero che non perse mai alcuna battaglia cui partecipò, infliggendo tra l’altro (quando era ancora pagano) la tremenda sconfitta di Uḥud al profeta Muḥammad e ai suoi segaci.

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